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giovedì 7 aprile 2022

Recensione: "The Island of Missing Trees" di Elif Shafak (a cura di Ms Rosewater)

Buongiorno, lettor*!
Oggi la nostra Ms Rosewater recensisce "The Island of the Missing Trees", della prolifica Elif Shafak, una storia che mette in tavola tanti elementi e tematiche, ma lo avrà fatto nella maniera giusta? Scopritelo nella recensione e fateci sapere cosa ne pensate. A presto!

The Island of Missing Trees
di Elif Shafak

Titolo italiano: L'isola degli alberi scomparsi (Rizzoli, settembre 2021)
Prezzo: 9,76 € (eBook) 21,40 € (cop. rigida)
Pagine: 368
Genere: narrativa
Editore: Viking
Data di pubblicazione: 5 agosto 2021

It is 1974 on the island of Cyprus. Two teenagers, from opposite sides of a divided land, meet at a tavern in the city they both call home. The tavern is the only place that Kostas, who is Greek and Christian, and Defne, who is Turkish and Muslim, can meet, in secret, hidden beneath the blackened beams from which hang garlands of garlic, chilli peppers and wild herbs. This is where one can find the best food in town, the best music, the best wine. But there is something else to the place: it makes one forget, even if for just a few hours, the world outside and its immoderate sorrows. In the centre of the tavern, growing through a cavity in the roof, is a fig tree. This tree will witness their hushed, happy meetings, their silent, surreptitious departures; and the tree will be there when the war breaks out, when the capital is reduced to rubble, when the teenagers vanish and break apart. Decades later in north London, sixteen-year-old Ada Kazantzakis has never visited the island where her parents were born. Desperate for answers, she seeks to untangle years of secrets, separation and silence. The only connection she has to the land of her ancestors is a Ficus Carica growing in the back garden of their home. In The Island of Missing Trees, prizewinning author Elif Shafak brings us a rich, magical tale of belonging and identity, love and trauma, nature, and, finally, renewal.

Di Elif Shafak conoscevo solo la fama de “La bastarda di Istanbul”, un successo di qualche anno fa che le è valso l'ira dei nazionalisti turchi per aver chiamato il genocidio armeno col suo nome; è un'autrice prolifica, Penguin ha già pubblicato dodici suoi libri, è una donna e un'intellettuale impegnata nelle questioni di genere, femminista ed esperta di filosofia sufista.

Questo romanzo, ambientato tra Londra e Cipro combina molti temi diversi, dall'eredità del passato che ricade sui figli alla drammatica storia di Cipro, segnata da una guerra civile, dalla botanica alla mitologia, dalla convivenza tra etnie, usanze e religioni diverse alla depressione, dal trauma per la perdita di un genitore alla persecuzione dell'omosessualità, i social network e i fantasmi. Tanta, tantissima roba.

La malinconica Ada, inglese figlia di genitori ciprioti (la turca Defne e il greco Kostas) ha da pochi mesi perso la madre (forse suicida). L'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, mentre una terribile tempesta si avvicina a Londra, Ada ha una crisi in classe che la espone (complici anche i social) al dileggio dei compagni; come se non bastasse, la zia Meryem, sorella della madre e unica parente di Cipro con cui il padre (il botanico Kostas) abbia ancora contatti, viene a trovarli per la prima volta, strappando Ada dai suoi piani di abbruttimento e autocommiserazione nella sua cameretta.

In previsione dell'arrivo della tempesta, Kostas decide di “seppellire” l'albero di fichi che ha in giardino per difenderlo dal gelo che potrebbe ucciderlo. Nato da una talea di un albero di Cipro, è lui il protagonista principale del libro: è l'albero il testimone degli eventi che hanno portato Kostas e Defne a Londra e che sono stati tenuti nascosti alla giovane Ada, costringendola a brancolare in un presente senza radici e con la consapevolezza di essere tenuta all'oscuro di qualcosa.

Le intenzioni di Elif Shafak sono buone e forse la scelta di calare argomenti tosti in uno schema da romanzone rosa è voluta, ma l'effetto è quello di un freno a mano perennemente inserito, che trasforma un progetto interessante in un bestseller da spiaggia: nessun argomento viene reso e approfondito con convinzione, vengono elencate molte cose, molti fatti, ma non davvero raccontati. Leggiamo che Kostas e Defne si amano con passione e tenacia, ci viene detto, ma non lo sentiamo nelle azioni né nelle descrizioni, dobbiamo credere la scrittrice sulla parola. 

I terribili vissuti personali dei genitori e perfino la tragedia che colpisce Ada, la perdita di un genitore e il fatto essere stata lei a scoprirla, sono narrati in modo superficiale. La crisi di Ada in classe non viene spiegata, a niente viene risposto, eppure il finale arriva con la scontata consolazione di una commedia hollywoodiana. A tratti la scrittrice riesce a infilare brani più sentiti, quando descrive la guerra civile a Cipro, ma sono momenti. Lo stile piatto e per niente incisivo, le situazioni prevedibili e i sentimenti telefonati hanno spesso la meglio. Questo è evidente in alcune scene estremamente ingenue per non dire involontariamente comiche, come una notte d'amore di Kostas e Defne, il primo vittima di un pestaggio, che riesce a fare ardente sesso con tre o quattro costole rotte, o alcuni dialoghi affettuosi tra altri personaggi (non cito i nomi per non anticipare nulla, ma anche questo legame, che la scrittrice vorrebbe come una specie di rivelazione, è subito evidente al lettore), zuccherosi e forzati, il finale con un colpo di scena di cui non si sentiva il bisogno. Sono azzardi perdonabili all'esordiente, molto meno all'autrice esperta che Shafak sicuramente è.

La voce del Ficus Carica, che la scrittrice designa come simbolo dell'isola di Cipro e della sua cultura, nonché albero primigenio, era l'idea migliore di tutto il libro e poteva davvero fare la differenza, riesce a catturare il lettore all'inizio, ma ancora una volta non si crea sufficiente stacco tra il tono magico e favolistico del suo racconto e quello realistico del narratore onnisciente che riferisce i fatti che neanche l'albero conosce. L'espediente di far raccontare da insetti e animali che fanno visita all'albero parte di questi eventi risulta forzato, riferito in terza persona quando sarebbe stato molto più convincente con dialoghi diretti. Le informazioni botaniche fornite dal Ficus sono molto interessanti, ma anche in questo caso sono spesso dispensate con la pedanteria di una lezioncina imparata a memoria.

Tra gli umani il personaggio più interessante è Meryem, che rappresenta la cultura tradizionale e la Turchia, impegnata nella propria emancipazione, con la valigia piena di vestiti colorati che non si decide a mettere e un bagaglio di ricette, proverbi e saggezza popolare che usa per comunicare con la recalcitrante nipote. Anche lei, purtroppo, non è indagata a sufficienza, ma essendo un personaggio secondario riceve uno spazio (in termini di presenza nelle pagine) quasi adeguato.

A fronte di argomenti forti, di una quantità di idee interessanti, la lingua e la capacità di gestirli non appaiono sufficienti, l'urgenza sembra essere scrivere tutto quello che la scrittrice aveva in mente piuttosto che farlo in modo appassionante ed efficace, anche omettendo, accettando l'idea che il lettore non può e non deve per forza sapere tutto, ma, almeno ciò che è necessario, lo deve comprendere sia con la testa che col cuore (non è per questo che leggiamo letteratura?).

Non conoscendo l'opera Elif Shafak posso supporre che la casa editrice l'abbia guidata verso queste scelte stilistiche, ho letto opinioni su un precedente romanzo “I miei ultimi 10 minuti e 30 secondi in questo strano mondo” e avevo avuto l'impressione di una scrittrice tosta, capace di affrontare storie difficili e scioccanti, non l'autrice di questo libro.

Creare un'opera con in mente un messaggio è una scelta insidiosa, rischia di trasformare una storia coinvolgente in una lezione di cui il pubblico non ha bisogno, e in questo libro di coinvolgente c'è veramente poco, nonostante gli estatici strilli in copertina.


Ms Rosewater



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