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lunedì 5 luglio 2021

Recensione: "Bianco" di Bret Easton Ellis (a cura di Ms Rosewater)

Buongiorno, lettori, e buon inizio settimana! ^^
Oggi una nuova recensione per voi. Stavolta tocca a Ms Rosewater regalarci la sua opinione su un libro che ha letto. Vi parlerà di "Bianco", di Bret Easton Ellis. Se non lo conoscete e siete curiosi, vi consiglio di leggere l'analisi della bravissima nuova collaboratrice di Coffee&Books ;) A presto!

Bianco
di Bret Easton Ellis

Prezzo: 9,99 euro (eBook) 19,00 euro (cartaceo, rigida)
Pagine: 220
Genere: satira, autobiografia, saggio
Editore: Einaudi
Data di pubblicazione: 15 Ottobre 2019

Sintesi di autobiografia e satira sociale, "Bianco" è una critica tanto affilata quanto spassosa di alcune delle piaghe che affliggono il nuovo secolo: l'ipocrisia elevata a galateo, il moralismo che sostituisce il giudizio estetico, la paura di esprimere un'opinione perché si finirebbe impallinati dai <<giustizieri>> dei social. E se quelle di Ellis non fossero solo provocazioni (o il cahier de doléances di un <<maschio bianco>> inconsapevole dei suoi privilegi), ma un invito a essere più sinceri, più autentici, a pensare con la propria testa senza preoccuparsi costantemente dell'opinione degli altri? Ellis non si accontenta di interpretazioni superficiali solo perché politically correct: "Bianco" è un'indagine senza sconti nel rimosso dello spirito del tempo.

Dopo sei romanzi, una raccolta di racconti e diverse sceneggiature, Brett Easton Ellis è tornato con un libro che compone saggi sul passato recente e vicende personali, ordinandoli secondo categorie non banali in cui riesce a far rientrare buona parte dei classici riferimenti delle autobiografie. Spostando continuamente lo sguardo dal mondo a sé stesso e viceversa esamina gli anni 2000, racconta la sua infanzia (pericolosa emotivamente e fisicamente) la paragona con l'età blindata di oggi, sterilizzata di ogni rischio, sofferenza ed errore e, al tempo stesso, di esperienza formativa di vita. Ripercorre poi il rapporto con il suo personaggio più noto, Patrick Bateman, sempre presente sullo sfondo della sua carriera anche dopo “American Psyco”, per arrivare alle sue esperienze nell'industria cinematografica, alla disamina estetica di alcuni film (non necessariamente dei capolavori) che sottendono o esplicitano il tema dell'omosessualità e ai rapporti con la categoria degli attori, ammettendo successi, errori, fallimenti. Infine si concentra sul recente passato degli Stati Uniti - ovvero il presente, ai tempi della stesura - dominato dai social media e trascinato da Donald Trump nei giorni che precedono la pandemia.

La scrittura è abile, divertente, appassionante quando l'autore analizza i fenomeni (per molti inconsci) di autobrandizzazione che derivano dall'avere un profilo Facebook o Instagram e l'obbligo implicito di aderire a un pensiero di massa che cerca di non offendere nessuno (ricordiamo tutti la pressione psicologica di quei “Andrà tutto bene” a cui era prassi aderire durante il lockdown del 2020, pena venire considerati quantomeno dei menagrami) al disagio che molti avvertono nel loro rapporto con i social media, veri e propri modificatori del comportamento di massa.
Altrettanto interessante è l'analisi degli stereotipi relativi all'omosessualità ancora presenti in molti prodotti artistici e culturali, portatori di una visione rassicurante e irrealistica che si incarna nel Gay Elfo Magico; se la prende in particolare col premio Oscar “Moonlight” mettendone in evidenza gli aspetti stucchevoli e la vittimizzazione del protagonista, espressione di una sensibilità eterosessuale che non accetta l'omosessualità attiva e relega l'orientamento sessuale “fuori dalla norma” a una specie di categoria fragile.
Ellis è spietato, i meccanismi narrativi vengono impietosamente sezionati a scapito di risultare sgradevole o poco empatico, e si scopre con sollievo di non essere soli a percepire distonia e artificio in alcune operazioni culturali che creano miti intoccabili nel mondo letterario e cinematografico (uno per tutti: David Foster Wallace).

Poi, a metà circa del libro, la critica sembra perdere coerenza e stupisce, ad esempio, il tentativo di minimizzare l'importanza dei social media nel mondo contemporaneo e l'impatto che possono avere frasi provocatorie diffuse da un personaggio pubblico - lo stesso Ellis - via Twitter. Parecchie pagine sono dedicate ai problemi avuti in occasione di questi episodi e al tentativo di chiarire il senso dei tweet incriminati, ma dopo aver dimostrato di essere un così raffinato comunicatore attento ai messaggi impliciti in pellicole, programmi televisivi e naturalmente libri - la sorpresa dell'autore di fronte alle reazioni dei follower non sembra del tutto sincera.
Del resto, lo sa anche Donald Trump, personaggio per il quale nutre un'evidente ammirazione (Patrick Bateman ne è ossessionato) e che ben ha compreso come sfruttare i media, anche i nuovi media, per creare (s)consenso. Ammettere di non essere in grado di controllare questo tipo di messaggio, suona come una debole giustificazione.
Parlando di Trump e del presunto boicottaggio mediatico messo in atto dalla “sinistra” prima e dopo l'elezione dell'allora presidente (dico presunto perché si riferisce essenzialmente alla realtà statunitense, da noi relativamente poco nota), vengono in luce i limiti dello scrittore come intellettuale.
Se è totalmente condivisibile il giudizio sulla vittimizzazione di massa che coinvolge molte minoranze (così diffusa e perniciosa, un vero e proprio ostacolo all'integrazione sociale), quando pretende di contrapporre la posizione conservatrice e giudicante di Joan Didion (autrice borghese e ricca) al femminismo duro degli anni '70, che aveva la durezza e la schiettezza necessarie in quel momento, o esalta Keanye West il quale, esprimendosi entusiasticamente a favore di Donald Trump rischiava di legittimare tacitamente gli atteggiamenti discriminatori messi in atto durante il suo mandato, omette un particolare fondamentale, cioè che è la posizione economica e sociale a fare la differenza, sempre. West appoggia Trump e Didion poteva prendersela con le femministe perché il loro status gli permetteva di aggirare la discriminazione. Oppure, come accade a volte, avevano deciso di assentire col potere dominante per evitare la discriminazione stessa.

Accade effettivamente poi, che alcuni ambiti degli schieramenti politici si radicalizzino e nel loro interno non sia facile esprimere dubbi rispetto al pensiero dominante nel gruppo, ma questa è una costante di qualsiasi associazione guidata da ideali (politici, religiosi, di progresso sociale) e da uno scrittore noto per i giudizi taglienti e lo humor acuminato con cui ha criticato la società degli anni 80 e 90, non ci si aspettano argomentazioni che sembrano lamentele, come l'accusa ai progressisti di essere troppo intransigenti e aggressivi. Il difetto peggiore della generazione dei “Risky business” appare qui in tutto il suo splendore: non essere mai stati capaci di schierarsi decisamente a favore di qualcosa che non fossero loro stessi, limitandosi a vivere in modo ombelicale e autoreferenziale. Questo presente che sfugge dalle mani affonda le radici in quegli anni, il declino dell'Impero (ora agonizzante) è iniziato allora, così come la fine del letterato in grado di influire sulla società e rendere consapevoli le persone dei cambiamenti in atto. Eppure “American Psyco”, “Meno di zero” sono stati parte di quella critica dirompente che esagerava e trasfigurava i simboli di tempo.
Ma forse questa parzialità è solo un artificio letterario il cuore di “Bianco” consiste nel mostrare le debolezze morali del contemporaneo dall'interno, suscitando almeno un po' di disagio. Chi lo sa? Sarebbe davvero una trovata brillante.
Voto: 3 tazzine, una star letteraria degli anni 80, sempre brillante, col quale non si deve per forza andare d'accordo.



Ms Rosewater


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