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giovedì 20 febbraio 2025

Rubrica: Coffee&Ciak - A Complete Unknown (a cura di Ms Rosewater)

Buongiorno lettor*! ^^
Oggi la nostra MsRosewater ha deciso di riesumare la rubrica Coffee&Ciak, dedicata a film e serie tv, per parlarci di A Complete Unknown, film biografia su Bob Dylan, del regista James Mangold, interpretato da Timothée Chalamet. Il film è uscito nelle sale il 23 gennaio, qualcuno ne ha parlato benissimo, qualcun altro malissimo. Scoprite l'opinione di Ms Rosewater che, ve lo dico da subito, è una grande fan di Bob Dylan. Avrà apprezzato A Complete Unknown? 
E a voi è piaciuto? Fatecelo sapere nei commenti! ;)

A Complete Unknown
di James Mangold, con Timothée Chalamet


Quando ho scoperto Bob Dylan ascoltavo continuamente le cassette dei suoi album mentre leggevo la storica biografia di Antony Scaduto e guardavo (e riguardavo) Don't Look Back, il documentario di D.A. Pennebaker sulla tournée londinese di Bob Dylan e Joan Baez del 1965. Devo aver consumato la videocassetta presa in prestito in biblioteca, osservavo ogni mossa, ogni atteggiamento, ogni posa del giovane Bob fino a che mi accorsi che cominciavo a sorridere e ad atteggiare le mani come lui.

Ecco, Timothée Chalamet deve aver fatto più o meno la stessa cosa, solo di più, molto di più. Troppo, quasi. Ce l'ha messa veramente tutta per diventare Bob Dylan, e per chi conosce abbastanza l'iconografia dylaniana è facile ritrovare i singoli riferimenti fotografici e sonori (i dialoghi in studio sono assolutamente simili ad alcuni che si trovano nei dischi), le unghie lunghe e la camicia a pois che sfoggia in alcune foto, è tutto noto. È quasi disturbante guardarlo in certe inquadrature e ascoltare la voce schiacciata e stridulina perfettamente simile a quella di Bob; quando si toglie gli occhiali da sole ti aspetti di vedere Dylan, ma, ahimé, è Chalamet.

Bisogna ammetterlo, si è veramente impegnato, ma il risultato per quanto curato è puramente estetico: se quando entriamo in sala non sappiamo nulla di Dylan e della sua musica, altrettanto ignoranti ne usciamo. Certo, il nostro eroe non ha mai amato rendere noti i suoi stati d'animo, ma - come ci aveva dimostrato I'm not there - ci sono molti modi per raccontare Dylan: attraverso le canzoni, i testi fantasmagorici, cornucopie di immagini che hanno ribaltato il mondo, Maggie, Queen Jane, i personaggi che vivono in Desolation Row, le metafore, i riferimenti letterari e linguistici sempre abbondanti, soprattutto nei primi dischi (anche quelli folk). Materia ricchissima per tracciare un ritratto in sospeso tra il poco che è dato sapere e il tanto che possiamo ascoltare. Invece tutta la pellicola resta su un piano didascalico, le canzoni sono appena accennate, arrivano a sottolineare un momento in cui Bob seduce Joan Baez o in cui una piagnucolosa Suze Rotolo (che non viene mai chiamata col suo vero nome, immagino per volontà degli eredi) si rende conto che la storia col menestrello di Duluth è finita. Il mistero dunque non sarà svelato, dentro al guscio non c'è alcun pulcino.

Tutto il film è costruito su questa vuota mimesi, non c'è climax e anticlimax, l'eccitazione, l'elettricità di quel periodo così eccezionale, non solo per la musica ma anche per il mondo, la politica, non si percepisce. Non c'è nessuna urgenza di scrivere canzoni e le relazioni romantiche del nostro sono rappresentate in modo superficiale: lui si aggira con un'espressione da giovane zombie e fa soffrire Joan Baez e Suze Rotolo, ma non c'è fuoco, no, no. Come può un personaggio del genere aver scritto Girl from the North Country o Farewell Angelina o It Ain't Me Babe? Qualcosa non torna. Come non torna l'assoluta mancanza di “vizio”: Dylan/Chalamet vive in un Village degli anni 60 più virtuoso di Disneyland, senza droghe e senza alcol; fuma parecchio, ma solo sigarette col filtro giallo e non beve, giusto un sorso di vino. Solo un musicista nero si permette in una delle scene più divertenti del film (e non sono molte) di bere alcol e dichiarare di apprezzarlo, i bianchi tutti santi.

Ci sono però omissioni più gravi. Mi riferisco alle personalità di Pete Seeger - quello sì splendidamente interpretato da Edward Norton, tanto spontaneo quanto rigido e artificioso è Chalamet- e Woody Guthrie, il grande eroe del giovanissimo Bob. Il primo è dipinto come un hippie ante-litteram, un caro vecchietto che scopre per primo il grande talento di Bobby Zimmerman, ma di cui vengono taciuti gli enormi meriti musicali e di lotta per i diritti civili, riducendolo a un cantante tradizionale che anima innocui programmi televisivi per famiglie.
Peggio ancora va a Guthrie, il motore immobile di tutto il primo periodo della carriera di Bob Dylan, ricoverato in ospedale, praticamente incapace di parlare, ma del quale davvero non sappiamo niente, nonostante la pellicola si apra proprio con Bob che si fa un viaggio dal Minnesota a New York per andarlo a trovare.

Nonostante ciò il regista ha comunque cura di mostrarci in una scena la sua chitarra, che riporta la storica frase “This guitar kills fascists”, così che CHI SA possa uggiolare nel riconoscerla. Ecco, alla fine è questa la furbata, fare un film non per ispirare i giovani con la seppur inquietante interpretazione di Chalamet, ma solleticare i ricordi di noi dinosauri, noi che l'elettricità l'avremmo sentita in ogni caso perché quella storia la conosciamo bene e possiamo aggiungervi i pezzi mancanti.

Mi sento di promuovere la scelta dei brani che compaiono nel film, si tratta soprattutto dei classiconi che lo resero famoso (Hard Rain, Blowin in the wind...), ma ci sono anche canzoni meno note e altrettanto belle, Girl from the North Country, Farewell Angelina e soprattutto Masters of war. Sono versi che risuonano ancora oggi, sottolineando un altro momento drammatico dell'umanità dopo la Guerra Fredda.
Il racconto di Bob Dylan però merita di più: creatività, follia, sorpresa, surrealtà, merita imprevedibilità e cattiveria, perché è questo, da sempre.

Se amate Bob Dylan vi sconsiglio caldamente la visione e se non lo conoscete, idem. 

Ms Rosewater



Fonte immagini: Google Immagini

sabato 15 luglio 2023

Recensione: "L'arte di essere Bill Murray" di Gavin Edwards (a cura di Ms Rosewater)

Buongiorno e buon weeked, lettor*! ^^
Oggi la nostra Ms Rosewater ci parla di un libro dedicato a uno dei personaggi da lei più amati, Bill Murray, attore iconico e apprezzatissimo nel mondo del cinema e dello spettacolo. Scoprite di cosa tratta L'arte di essere Bill Murray, di Gavin Edwards, edito da Blackie Edizioni, e lasciateci un vostro parere. 
A presto! ;)

L'arte di essere Bill Murray 
di Gavin Edwards

Prezzo: 20,00 € (cop. rigida)
Pagine: 320
Editore: Blackie Edizioni
Data di pubblicazione: 30 settembre 2021
Acquista su: IBS, laFeltrinelli

Lo ricorderete mentre indossa uno zaino protonico in Ghostbusters. Sconvolto per dover vivere all’infinito lo stesso giorno in Ricomincio da capo (Groundhog Day.) Innamorato di Scarlett Johansson in Lost in Translation. Stravagante vicino di casa in St. Vincent o perfetto interprete della magica follia dei film di Wes Anderson. Magari Bill Murray è uno dei vostri attori preferiti, ma forse non sapete che la sua vita è capace di provocare persino più sorprese dei suoi personaggi. Qualche esempio? Bill che irrompe a una festa anonima e suona i bonghi, che improvvisa una conferenza alla Casa Bianca, che mangia patatine fritte dai pacchetti degli sconosciuti o regala bottiglie di vino a interi Paesi. Storie zen accadute realmente, pur senza ciak, che insegnano l'arte della gioia. Ora un libro ricostruisce la vita, le stranezze e il pensiero di questa meravigliosa figura pop dei nostri tempi raccontando la sottile arte di fare quello che ti pare. E soprattutto ci racconta la sua missione: farci diventare persone migliori. Meno pesanti e affannate, più generose e libere. Davanti alle sfide della vita, dovremmo tutti chiederci: «Cosa farebbe Bill Murray?». Tra queste pagine c’è la risposta.

Allora, adoro Bill Murray: mi piace il suo personaggio cinico, asociale, totalmente disinteressato alle convenzioni e dalla battuta pronta che sembra ispirarsi al grandissimo Walter Matthau e ancora oggi è dirompente in un cinema sempre più dominato da personaggi cristallizzati e prevedibili e da trame inconsistenti; mi piace quando fa il matto e quando sembra recitare al minimo, come se fosse incredulo eppure rassegnato davanti all'assurdità del mondo. Tra gli attori ricorrenti della truppa di Wes Anderson, è capace di reggere un film con incredibile misura (come in Lost in translation) o esagerando (Ghostbusters, Ricomincio da capo, St Vincent), può essere romantico o agghiacciante, restando sempre, inimitabilmente Bill Murray. E' amatissimo (e non avevo capito quanto) negli Stati Uniti e non solo per le sue interpretazioni; diversamente da molte star del cinema, Bill Murray è davvero anticonformista e giocoso, apparentemente privo di freni e non ossessionato dal lavoro e dalla fama (che comunque male non gli fa): parte di ciò che vedete sullo schermo è reale, gli slanci, la follia, le trovate surreali, l'imprevedibilità, secondo Gavin Edwards sono parte di una filosofia di vita che dovrebbe insegnarci a prendere tutto con maggiore leggerezza e divertimento.

Allo scopo di convincerci, l'autore ha raccolto in questo volume una quantità incredibile di aneddoti, attraverso i quali ricostruisce la personalità e il pensiero di Bill. Va chiarito subito che lui, Murray, non ha partecipato alla scrittura, anche se sono presenti alcuni stralci di sue interviste, così che si crei un po' l'Effetto Terzo Uomo, di un personaggio che non interviene direttamente ma di cui si parla in terza persona.

Dalle pagine emerge un divo che non ti aspetti, uno di diversi fratelli dedicati al teatro e alla commedia, tra i protagonisti del primo Saturday Night Live (quello con Dan Akroyd e John Belushi) che apparentemente non si è fatto travolgere dall'ansia di emergere, ha saputo gestire la sua carriera senza diventarne schiavo, facendo scelte che lo liberassero dalle pressioni indesiderate, come quando ha rinunciato ad avere un agente per sostituirlo con una segreteria telefonica da contattare per proporgli copioni. Talvolta procrastina e perde anche parti in film importanti, ma non se ne dispera; gli piace divagare, tentare la fortuna, cambiare programma, farsi aspettare e sorprendere. È un improvvisatore pronto a cogliere qualsiasi occasione per un'esperienza, un incontro, e la sua imprevedibilità è l'espressione di una totale libertà dalle convenzioni, data certamente anche dalla celebrità, ma non dovuta ad essa.

È noto ad esempio, che ama imbucarsi alle feste altrui e ne diventa quasi immediatamente il centro d'attenzione, ma può anche creare panico nella troupe di un film scomparendo all'improvviso per andarsi a mangiare qualcosa in una tavola calda a qualche isolato dal set. Oppure, come racconta Sofia Coppola, che lo ha diretto in Lost in translation (anche se per me è stato lui a dirigere lei, perché senza Bill il film semplicemente non esisterebbe), può tenere tutti in sospeso, incerti se si presenterà o no fino a quando non è effettivamente salito sull'aereo che lo porta alla location delle riprese.

Edwards ammassa e cerca di sistematizzare, secondo i 10 principi della Filosofia Murray da lui stesso enunciati, centinaia di aneddoti e testimonianze (citando addirittura le fonti) e costruendo una sorta di biografia non autorizzata dell'uomo a cui abbina la filmografia completa (fino al 2016) dell'attore.
All'autore va riconosciuto un lavoro notevole per la raccolta, la verifica e la catalogazione degli episodi, per renderli prove empiriche della sua teoria, inserendo box e temi ricorrenti (“Bill Murray incontra la gioventù d'America”, “Sul lato oscuro”) per movimentare la lettura. E devo ammettere che per le prime 90, 100 pagine ci si diverte a scoprire di quali prodezze sia capace il nostro eroe, ci si aspetta qualcosa, anche se non si sa bene cosa. Il fatto è che, gira e rigira, il libro è tutto lì, privo - nonostante le apparenze - di un'idea forte, tutto uguale dall'inizio alla fine. Talvolta sfiora addirittura la paranoia, riportando interventi divertenti ma che nulla aggiungono al quadro già tracciato nelle pagine precedenti: trattare questi tipo di materiale senza un intervento del diretto interessato, con pochi riferimenti iniziali alla sua biografia finisce per diventare un esercizio superficiale e inconcludente che, nonostante le parti divertenti, delude.

Gavin Edwards è, con tutta evidenza, un fan sfegatato di Bill Murray e chiunque condivida la sua opinione non potrà non trovare gradevole la lettura, almeno in parte. Se fosse stato più breve, privo degli aneddoti meno significativi, corredato di qualche fotografia e magari di un elenco di link ad alcune delle interpretazioni più significative di Bill (come ad esempio l'incredibile Nick The Lounge https://www.youtube.com/watch?v=ljiVRV5B5i8) sicuramente L'arte di essere Bill Murray avrebbe potuto conquistarmi, ma così com'è, un volume di 300 pagine - comprese filmografia ed elenco delle fonti - dal costo non trascurabile di 20 euro che dà un po' l'idea di star sbirciando nel mondo di Murray attraverso i racconti di terze persone... beh, mi ha delusa.

Se lo vorrete comunque acquistare, fatemi sapere come lo avete trovato. E se riuscite a reperirlo in rete, potete leggere l'autobiografia di Bill Murray dal titolo Cinderella Story.

Ms Rosewater


Photo credit: @lisapavesi

martedì 6 giugno 2023

Rubrica: Coffee&Ciak - “La Sirenetta" live action 2023 (a cura di Marika)

Eccoci di nuovo su questi schermi adorati lettori e coffeaholics del cuore!
 Oggi presa dall'ispirazione ho deciso di parlarvi di La Sirenetta, il live action del famoso film d'animazione Disney che sta spopolando in tutto il mondo. A primo impatto l'ho trovato realistico e praticamente in linea con le tematiche sensibili del 2023.

La Sirenetta
Regista: Rob Marshall
Genere: fantastico, musicale, sentimentale
Interpreti: Halle Bailey, Jonah Hauer-King, Melissa McCarthy, Javier Bardem
Durata: 135 minuti
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures

******

 La storia segue quella classica a cui tutti siamo abituati: Ariel principessa dei mari, insieme ai suoi fedeli compagni di sempre come Sebastian, Flounder e Scattle, si diverte a raccogliere oggetti strani dimenticati dagli umani. Vive la sua vita tranquilla e spensierata accompagnata dalle sorelle e da suo padre Re Tritone. Tutto sembra un idillio, fino a quando non incontrerà il principe Eric a causa di un incidente in mare. Principe di cui si innamorerà ben presto, mettendo in serio pericolo la sua incolumità e la voce meravigliosa, quest'ultima barattandola con Ursula in cambio dell'umanità e delle gambe. Si ritroverà a vivere tante emozioni mozzafiato sulla terraferma, tanti dolori che strazieranno il suo cuore prima dell'agognato lieto fine. 

Nulla di diverso dalla storia disneyana, direte voi, e probabilmente avrete anche ragione poiché il remake shot- for-shot e il fotorealismo dello sceneggiato non fanno altro che sovrapporre le scene dell'animazione prodotta da Walt Disney nel 1989 a quelle del film 2023 del regista Rob Marshall, autore de Il Ritorno di Mary Poppins (2018 con Emily Blunt), Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare (2011), e Memorie di una Geisha (2005); senza contare che alla produzione vede la presenza di Marc Platt, produttore di La La Land, Aladdin, Crudelia e Babylon tanto per citarne qualcuno. 

Ma quindi quali sono le novità tanto discusse di questa attesissima pellicola? Diverse e - a mio avviso - tutte degne di nota. Partendo dal presupposto che si tratti di uno sceneggiato girato con la tecnica del dry-for-wet (ovvero nei teatri di posa con schermi e teli blu e macchinari attraverso i quali simulare movimenti acquatici) diverso sicuramente dalla tecnica motion capture utilizzata per la prima volta sott'acqua per Avatar, e in precedenza per singolari personaggi quali Gollum de Il Signore degli anelli e Smaug per Lo Hobbit (che vede l'utilizzo di marcatori posizionati su tute in velcro per trasmettere i movimenti ai computer), è sicuramente caratterizzato da scene altrettanto realistiche girate nella nostra amata Sardegna, che dà vita ad ambientazioni caraibiche piuttosto che danesi. E in questi paesaggi chi troviamo? Nientepopodimeno che lei, la Sirenetta interpretata da Halle Bailey, una ragazza che recita magistralmente nel ruolo, combinando perfettamente insieme il personaggio disneyano fatto di ingenuità, testardaggine e coraggio e quello originale descritto nella fiaba di Hans Christian Andersen caratterizzato da una maggiore profondità emotiva e scene malinconiche

Ed è proprio questo mood più spento e meno brioso che posiziona il film al centro di un discorso a lungo dibattuto e che vedeva contrapposta la fazione dei fan della fiaba a quelli della pellicola d'animazione. Personalmente, credo che il film rispecchi non solo una volontà di rifarsi alla storia originale, ma anche di seguire trend cinematografici e fotografici del 2023 e quella ricerca di realismo che è quasi sempre difficile da ottenere nei live action

Inoltre, la protagonista, insieme al principe Eric (interpretato da Jonah Hauer-King) nonostante apportino dei cambiamenti sostanziali, ma non distruttivi alla storia (vedi la Sirenetta che perde la memoria oltre che alla voce, o all'entourage familiare della controparte maschile più approfondita), si fanno anche portatori di tematiche che più che politically correct, oserei definire giuste per il mondo avanguardista in cui viviamo. Mi spiego: la scelta di una protagonista di colore con capelli diversi, musiche aggiunte, alcuni testi leggermente modificati, ecc, non li guarderei come un qualcosa di forzato solo perché nel 2023 "va di moda". Piuttosto lo interpreterei come la volontà del regista di dare a tutti le stesse opportunità per riconoscersi in un personaggio che soffre per amore, che prova rimorso verso quel distaccamento da una famiglia che l'ha sempre protetta, e che decide di osare. 

Un'altra cosa su cui va posto l'accento, è l'inquinamento degli oceani, argomento discusso attraverso Re Tritone, che prova un odio smisurato per gli umani che avvelenano i mari poi ripuliti dai suoi abitanti.

 In conclusione è un live action interessante e ben fatto che in 135 minuti circa presenta un mondo conosciuto in un modo perfettamente sconosciuto.
Voto: 5 tazzine di caffè caraibico per un film che mescola dolcezza e asprezza della vita.
Fonte immagini: Pinterest
Vanityfair.it

martedì 9 novembre 2021

Rubrica: Coffee&Ciak - Recensione di Eternals (a cura di Giulia)

Buon pomeriggio, lettor*!
Nuovo appuntamento con la rubrica Coffee&Ciak, dedicata a film e serie TV. Oggi scopriamo insieme l'opinione di Giulia riguardo il film del momento, Eternals. È andata a vederlo al cinema e ha voluto subito farci sapere cosa ne pensava. E voi, lo avete visto? Vi è piaciuto? Vi aspettiamo nei commenti ;)

Eternals
di Chloe Zhao


Eccomi qui, tornata da un pomeriggio al cinema, per parlarvi dell’ultimo film della Marvel, diretto da Chloe Zhao, fresca fresca di Oscar. Eternals tra tutti i film della Marvel, si può dire sia quello con più ambizioni. Ambizioni che purtroppo si perdono un po’ durante il film. Eternals inizia un po’ come Star Wars, con delle scritte su uno sfondo nero, che spiegano un po’ le origini della storia dove dice che Arishem, il primo celestiale, ha portato la luce nell'universo. Per migliaia di anni, gli Eterni, mandati dai celestiali con una missione, hanno vissuto in segreto tra gli umani sulla Terra. Qual è questa missione, vi starete chiedendo, ebbene gli Eterni hanno il compito di proteggere l’umanità dai Devianti, solo e soltanto da loro, per questo non li vediamo comparire in nessun altro film dell’MCU. Per moltissimi anni gli Eterni, guidati dalla loro leader, Ajak, “la prima eterna”, hanno combattuto questi mostri, sin dall’antica Mesopotamia, finché un giorno questi Devianti si sono estinti e ciò ha permesso agli Eterni di vivere per secoli una vita “normale”, ma subito dopo Avengers Endgame, qualcosa è cambiato…

“Abbiamo sorvegliato e suggerito, li abbiamo aiutati a progredire e li abbiamo visti compiere meraviglie. Nell'arco degli anni non abbiamo mai interferito... fino ad ora.”

In questo film, abbiamo la bellezza di 10 personaggi principali, quattro cattivi, un quadrangolo amoroso e (rullo di tamburi, per favore), la prima scena di sesso della Marvel sugli schermi.

Ma chi sono questi eterni? Come vi ho detto prima sono 10 e ognuno di loro ha un potere diverso:
- “La prima eterna” nonché capo del gruppo è Ajak (Salma Hayek), ha il potere di guarigione e può comunicare con Arishem; penso sia il personaggio più enigmatico fino a metà film, fino ad una scena in particolare non si riesce a capire cosa le passi per la mente;

- Sersi (Gemma Chan), che trasmuta gli oggetti in elementi diversi, una ragazza che ha amato l’umanità fin dal primo momento in cui ha messo piede sulla Terra. Una ragazza dolce, non molto sicura di sè e sicuramente l’eterno più sottovalutato;

- Ikaris (Richard Madden), un Superman della Marvel con tanto di capacità e occhi laser. Un ragazzo incoerente e a tratti stronzo, conosce, insieme a Ajak, il segreto della loro missione e questa bugia lo logora nei millenni tanto che arriva a fare qualcosa che i suoi compagni non avrebbero mai immaginato;

- Kingo (Kumail Nanjiani), che spara energia dalle mani; un personaggio un po’ secondario, che si scopre essere, secondo me, il più umano fra tutti, ha quasi tutti i difetti tipici dei tratti umani, egocentrico, egoista e anche un po’ spocchioso;

- Sprite (Lia McHugh), che può lanciare illusioni; una donna millenaria rinchiusa nel corpo di una ragazzina. Personaggio che più ho odiato, incoerente, egoista e secondo me se non ci fosse stata avremmo goduto meglio la visione del film;

- Phastos (Brian Tyree Henry), un inventore sovrumano; letteralmente l’inventore dell’aratro, della macchina a vapore ma anche l’inventore della bomba nucleare;

- Makkari (Lauren Ridloff), che ha una super velocità e anche una percezione al 100% dei movimenti che ha sviluppato in seguito ad un “difetto fisico”, è sordo-muta;

- Druig (Barry Keoghan), con poteri di controllo mentale; quando tutti non intervenivano, anche nei minimi conflitti umani, lui era lì a seminare pace e amore.

- Gilgamesh (Don Lee) con super forza;

- Thena (Angelina Jolie), un potente guerriero che può evocare armi dal nulla, l’eroina di Atene, la dea della guerra, colei che ricorda quando tutti hanno la mente annebbiata.

Tante cose da introdurre, personaggi, relazioni, poteri e obbiettivi, in 2h e 30m di film è normale che qualcosa venga tralasciata, secondo me non hanno saputo dare il giusto spazio a tutte le varie situazioni, anche se è normale che alcuni personaggi siano più approfonditi di altri, per esempio la relazione tra Sersi e Ikaris ha più spazio rispetto a personaggi effettivamente “secondari” come Makkari e Phastos.

Una cosa molto carina è la costruzione della vita del personaggio di Kingo, praticamente gli costruiscono una dinastia Bollywoodiana, ma comunque viene messo un po’ in disparte anche lui.

Molti film della Marvel, come per esempio gli stessi film degli Avengers o anche I Guardiani della Galassia, sono la dimostrazione effettiva che se vuole la Marvel può infilare eroi a destra e a manca dandogli il giusto spazio e concludendo tutte le varie situazioni ma è pur vero che in questo film incontriamo personaggi completamente nuovi nonostante i 20 e passa film già girati, quindi penso che tutto sommato non sia andata proprio male!

Per la prima metà del film, non fanno praticamente nulla, se non raccontarci le loro storie e “riassemblare” la squadra per sconfiggere l’imminente minaccia. Dopo la prima metà possiamo dire che inizia la trama vera e propria, anche se si alternano situazioni in cui apparentemente non c’è nessun cattivone da sconfiggere a situazioni in cui ci sono troppe cose di cui occuparsi. Uno dei cattivi compare dopo due ore di film e ad un altro non gli si dà un nome, nella scena finale uno dei personaggi scompare dalla scena e ricompare proprio sul finale. Queste sono le cose che mi hanno più fatto storcere il naso.

Poi ci troviamo un finale con un cliffhanger letteralmente da mettersi le mani nei capelli per la disperazione e nelle due scene post-credit vengono introdotte due situazioni che non vedo l’ora di scoprire come evolveranno.

Le scene di combattimento sono spettacolari, tutte le varie caratteristiche degli eterni creano un effetto davvero niente male sulla scena.

In conclusione devo dire che questo film, nonostante tutti i suoi difetti va assolutamente visto, perché dai è un film della Marvel è spettacolare a prescindere.
Giulia


Fonte immagini: Google immagini


martedì 10 agosto 2021

Coffee&Ciak: "God Save The Queen: Guida alla serie TV Britannica" (a cura di Melz, Ms Rosewater, Eleonora)

Buon pomeriggio, lettori! ^^
È arrivato anche il giorno del primo appuntamento della nuova rubrica "Coffee&Ciak" che, vi ricordo, troverete ogni Martedì qui sul blog. Oggi Melz, con la collaborazione di Ms Rosewater ed Eleonora, ha stilato una piccola guida dedicata alle serie tv inglesi più famose e amate. Sono ben 15 e ce n'è per tutti i gusti. Fateci sapere quali sono le vostre preferite o se ne aggiungereste altre ;)  Buona lettura!

GOD SAVE THE QUEEN
Guida alla serie TV Britannica
 
Quando mi domandano come ho fatto a prendere una valutazione elevata sul listening in tutte le certificazioni di inglese che possiedo, la mia risposta è sempre la stessa: le serie TV. Alla domanda “che serie mi consigli per migliorare il mio inglese?” le risposta è ancora una sola: le serie TV Britanniche. Accento meraviglioso, inglese puro e ne abbiamo per tutti i generi. Da qui l’idea del primo articolo della nuova rubrica Coffee&Ciak: una guida alle più belle serie TV inglesi.

N.B.: Non è una classifica, non riuscirei a farne una, le trovo tutte splendide e ve ne spiego i motivi (ovviamente, nessuno spoiler!)

Peaky Blinders

Creata da Steven Knight e ambientata a Birmingham dopo la prima guerra mondiale, narra le vicende del quartiere di Small Heath, in particolare quelle della famiglia Shelby il cui secondogenito, Thomas, si trova a capo di una gang, i Peaky Blinders, dall’usanza di indossare sempre un particolare cappello nei cui risvolti è possibile nascondere delle lamette da usare come arma. Il significato letterale di Peaky Blinders è “paraocchi a punta”, ma il termine indica anche la forma del paraocchi del berretto. La leadership di Thomas verrà messa a dura prova dall’arrivo di Campbell, un poliziotto deciso a ripulire la città dalla delinquenza e da una donna, GracePeaky Blinders va in onda per la prima volta nel 2013 sul canale BBC e ha attualmente all’attivo cinque stagioni con una sesta in arrivo che, salvo sorprese, sarà l’ultima. Il genere è drammatico e gangster. L’idea di Steven viene direttamente dalla sua famiglia: alcuni membri facevano parte di una gang nel 1890, ma i protagonisti reali avevano dodici anni, nulla a che vedere con i personaggi del suo telefilm. Cillian Murphy (Thomas) porta sullo schermo una bellissima interpretazione e sfido chiunque a non innamorarsi di lui. Sul fattore linguistico, l’accento è sublime, ma non purissimo, seppur totalmente comprensibile anche a un orecchio non esperto. Gli attori si sono impegnati a emulare l’accento del dialetto tipico di Birmingham. Nel cast troviamo attori del calibro di Tom Hardy (Venom) e Helen McCrory (Narcissa Malfoy che ricordiamo tutti con tanto affetto). La serie è presente su Netflix!

Misfits

Togliamo le lamette dai cappelli e ci spostiamo nell’immaginario quartiere di Wertham vestiti di arancione per parlare di Misfits. Questa serie, di genere adolescenziale e fantastico, narra le vicende di cinque ragazzi alle prese con lavori socialmente utili, dopo aver compiuto reati minori. Durante il primo giorno di lavori vengono investiti da uno strano temporale che conferisce loro superpoteri molto particolari. Per quanto ci siano i classici invisibilità, manipolazione del tempo e lettura della mente, i poteri in Misfits non sono una casualità e non sempre rispecchiano la tradizione: sono molto spesso un’estensione della personalità dei protagonisti. Così il ragazzo timido riesce a diventare invisibile, la femme fatale riesce a far eccitare chiunque le sfiori la pelle e così via. Se siete sensibili a battute intrise di Black Humor, questa serie non fa assolutamente per voi, anzi… esso, soprattutto attraverso il personaggio di Nathan (un giovane, ma sempre talentuoso Robert Sheehan, famoso per aver interpretato Simon in Shadowhunters. Citta di Ossa e Klaus in The Umbrella Academy), è una delle colonne portanti della serie. Anche qui abbiamo un cast parecchio conosciuto in una delle prime esperienze lavorative. Troviamo infatti, oltre Robert, Iwan Rheon (il perfido Ramsay Bolton di Game of Thrones) e Antonia Thomas (la bella dottoressa Brown di The Good Doctor). La serie è conclusa e conta cinque stagioni con un massimo di 8 puntate ciascuna. A mio parere, Misfits ha una delle più belle sigle di apertura, sulle note di Echoes dei The Rapture.
Si può attualmente trovare su Amazon Prime Video!

Skins

Se parliamo di telefilm Britannici di genere adolescenziale non posso non parlare di Skins, per me, assieme a Skam in tutte le sue versioni, l’unica serie tv che rappresenta l’adolescenza in tutte le sue forme in maniera pura e veritiera. La serie narra le vicende di un gruppo di adoloscenti dai sedici ai diciotto anni che vivono nella cittadina di Bristol in Inghilterra. Il titolo si riferisce al termine gergale per indicare la cartina delle sigarette. Ogni puntata esplora un personaggio in particolare, in effetti il punto forte della serie è proprio la loro caratterizzazione. Anche qui un cast di eccellenza in una delle prime prove: un piccolo Nicholas Hoult (Bestia da X-Men. L’inizio), una piccola Kaya Scodelario (Spinning Out) e Hanna Murray (Gilly in Game of Thrones). Le trame veritiere sono attribuite alla sceneggiatura, l’età media degli sceneggiatori si aggirava attorno ai 21 anni! La serie conta sette stagioni ed è ormai conclusa da tempo, si può attualmente trovare su Netflix. Gli argomenti principali sono abuso di droghe, autismo, sessualità, gravidanze giovanili, malattie mentali e morte, tutte affrontate con una delicatezza disarmante e viste con gli occhi di un adolescente. Il cast si rinnova ogni due stagioni, l’unico personaggio sempre presente è Effy Stonem, quello interpretato dalla Scodelario.

Sex Education

L’ultimo telefilm Britannico di genere adolescenziale dell’elenco è piuttosto nuovo, ha all’attivo due stagioni e siamo in attesa della terza: parlo di Sex Education! È un originale Netflix, creato da Laurie Nunn, diretta da Kate Herron e Ben Taylor e distribuito sulla piattaforma nel 2010. La serie, ambientata nel Regno Unito, racconta di Otis (Asa Butterfield, già famosissimo per Il bambino con il pigiama a righe, Miss Peregrine. La casa del bambini speciali e Lo spazio che ci unisce, con Britt Robertson), figlio di una scrittrice e terapista sessuale di fama nazionale. A scuola Otis si ritrova a parlare con Adam, figlio del preside e con problemi di eiaculazione precoce. Grazie ai suoi consigli, Adam riuscirà ad avere un rapporto sessuale soddisfacente con la sua ragazza Aimee. Un’amica di Aimee, Maeve, propone a Otis di diventare terapista sessuale per i ragazzi della scuola, ovviamente sotto pagamento. Le avventure di questi ragazzi si focalizzano, come il titolo stesso dice, sulle vicende sessuali, ma non solo: si affrontano anche temi come l’abbandono, la povertà e il femminismo. I personaggi non sono stereotipati e molto originali. Le puntate sono poche e non avete davvero motivo per non guardarla.

A discovery of witches

Basata sui libri di Deborah Harkness, questa serie è la trasposizione della All Souls Trilogy conosciuta in Italia come la saga de Il libro della Vita e della Morte. In questa serie vampiri, streghe e demoni si presentano sotto una nuova luce, quella scientifica, che indaga la loro natura di specie a sé stanti o di mutazioni della specie umana. La storia dell’amore proibito tra un vampiro (Matthew Goode) ed una strega (Teresa Palmer) alla scoperta dei suoi poteri è il filo conduttore di tutta la serie che offre però altri spunti tematici come l’accettazione di se stessi, la fiducia negli altri e il superamento dei pregiudizi. Tutto parte con la scoperta di un manoscritto che si pensava perduto e che al suo interno racchiude una conoscenza che può diventare pericolosa nelle mani sbagliate e prosegue tra intrighi, complotti e storie, d’amore, di famiglia e di amicizia, che superano talvolta i confini del tempo (piccolo minuscolo spoiler qui si viaggia nel tempo). Grazie ad un sapiente mix di fantasy, storia, scienza e ambientazioni suggestive, tra Biblioteche universitarie londinesi, castelli francesi, e Londra del 1590, questa serie TV può mettere d’accordo spettatori con i gusti più diversi; l’adattamento telefilmico, inoltre, rende possibile la comprensione dei vari intrecci della storia anche a che non ha letto i libri e, strano ma vero, pur con dei cambiamenti rispetto all’originale la serie non perde quasi nulla del fascino dei libri. Al momento sono uscite le prime due stagioni, la prima nel 2018 e la seconda quest’anno, che purtroppo si trovano solo in lingua inglese e/o su Now Tv, sempre e solo in inglese, altrimenti bisogna prendere i dvd (sono già in commercio per fortuna), la terza stagione è in fase di post produzione e quindi dovremmo poterla vedere entro i primi mesi del 2022 ,se tutto va bene.

“ It begins with absence and desire.
It begins with blood and fear.
It begins with A Discovery of Witches”

Downton Abbey

E ora una serie in costume, coprodotta da Carnival Film e Masterpiece per il network britannico ITV e per la PBS. La serie, come dice il titolo stesso, è ambientata a Downton Abbey, una tenuta di campagna dello Yorkshire del Conte e della Contessa di Grantham e segue le vite della famiglia Crawley e i suoi servitori. Le vicende partono da una data celebre, il 15 aprile 1912, l’affondamento del RMS Titanic. Durante la tragedia, James Crawley e suo figlio Patrick perdono la vita. Nuovo beneficiario della proprietà al posto di Patrick diventa Matthew, cugino di terzo grado della famiglia. La famiglia, soprattutto la Contessa, inorridisce al pensiero che una persona “che lavora” abbia i loro averi, non avendo la minima idea di una vita aristocratica. La serie conta sei stagioni da massimo nove episodi e nel 2019 ne è stato tratto un film conclusivo. È adatta a chi ama le serie in costume e i pettegolezzi. Downton Abbey non narra solo vicende di nobiltà, ma largo spazio è lasciato ai servitori con le loro storie. Nei panni di Violet Crawley troviamo niente poco di meno che la nostra amata professoressa McGranitt, Maggie Smith.

The Crown

Rimanendo sulle serie TV Britanniche in costume parliamo ora della famosissima The Crown. In realtà non è tutta britannica, ma anche statunitense, eppure l’atmosfera (per forza di cose) è quella che si respira(va) a Londra. La serie creata e scritta da Peter Morgan è incentrata sulla vita di Elisabetta II del Regno Unito e sulla famiglia reale britannica. È disponibile sulla piattaforma Netflix, essendo uno dei suoi telefilm originali. Nonostante la componente romanzata, The Crown si propone di rimanere fedele alla storia originale in fatto di vicende politiche e personali. La forza di questo show credo sia la curiosità del telespettatore: parla di persone che ancora oggi vediamo in televisione, persone che ancora oggi fanno parte della politica e della vita inglese. La serie parte dai giorni in cui Elisabetta diventa regina troppo presto e va avanti a passo spedito nella sua vita. Hanno fatto con il cast un lavoro eccellente sia per somiglianza che per prova attoriale e, nonostante il ritmo un po’ lento, mi sento di dire che è uno dei gioielli di Netflix. Conta al momento quattro stagioni, siamo in attesa della prossima e sappiamo già che la prossima fase di vita della regina Elisabetta sarà interpretata da Imelda Staunton, la professoressa Umbridge.

Black Mirror

Cambiando genere troviamo una tra le serie TV più controverse del mondo Netflix, Black Mirror. Serie antologica (per chi non lo sapesse, una serie antologica cambia argomento in ogni stagione o, come nel caso di Black Mirror, ogni puntata, pur mantenendo un filo conduttore: l’argomento principale) ambientata in un futuro in cui la tecnologia e i media hanno decisamente preso il sopravvento e sottolinea le conseguenze degli stessi. “Black Mirror”, infatti, si riferisce proprio allo schermo nero di ogni monitor. È stata trasmessa per la prima volta nel 2011 su Channel 4, ma è ora disponibile a livello internazionale su Netflix e ha all’attivo cinque stagioni. Esiste anche un film interattivo, sempre sulla piattaforma, dal titolo Bandersnatch nel quale lo spettatore, tramite il mouse, decide l’andamento della storia. La forza di Black Mirror, oltre al fatto di essere antologica e quindi visibile come più piace (anche a partire dall’ultima alla prima, anche se non lo consiglio per niente) è la verità. È ambientata nel futuro, sì, ma ispirata ai nostri giorni. È spiazzante guardarne le puntate e pensare “caspita, questo potrebbe proprio succedere”. Il futuro di Black Mirror, in molte puntate, non è poi così lontano. I membri del cast sono tantissimi, ma tra i più famosi ricordiamo Miley Cyrus in una delle puntate della quinta stagione (stagione meno riuscita delle altre a mio parere), Anthony Mackie (The Falcon), Cristin Miloti (How I Met Your Mother), Alex Lawther (The End of the Fucking World), e Andrew Scott (il mitico e pazzissimo Moriarty di Sherlock). E a proposito del geniale detective…

Sherlock

Liberamente tratta dalle opere di Arthur Conan Doyle, con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, Sherlock mette piede sui nostri schermi nel 2010. Narra le vicende del detective Sherlock Holmes, affiancato dal suo storico assistente John Watson nella Londra odierna, quindi diversa ambientazione rispetto ai romanzi, ambientati sempre a Londra, ma in anni diversi. Mi è piaciuto molto il modo di affrontare tutti i personaggi, non solo il protagonista: John Watson è reso benissimo, con tanto di momenti bui. È reduce dalla guerra in Afghanistan e cerca di trovare un posto nella società. Non sarà facile per lui avere a che fare con il famoso detective, ma diventeranno presto compagni di varie avventure. Ciò che distingue questa serie dalle altre è sicuramente la durata delle puntate: potrei definirle mini-film da più di un’ora, ecco perché le quattro stagioni contano solo tre puntate l’una. Esiste tra la terza e la quarta una puntata speciale, intitolata L’abominevole sposa. Sherlock fa riflettere, a volte fa sorridere, ma è stimolante cercare di risolvere i suoi intricati e controversi casi che non sono l’unica cosa che lo terrà impegnato, dato l’antagonista davvero interessante: Moriarty. C’è molto altro, ma sarebbe spoiler, perciò… che aspettate a guardarla?

Fleabag

Fleabag è una serie tv di genere drammatico scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, già autrice del testo teatrale da cui la serie è tratta che vinse il premio Fringe nel 2013. L’idea iniziale le venne da un gioco con un amico che la sfidò a scrivere un testo per un evento di stand-up comedy di dieci minuti. La serie parla di una giovane donna londinese con una vita probematica, una famiglia disfunzionale e una serie di problematiche economiche legate alla sua attività, una caffetteria che aprì con un’amica. A questo si aggiungono una vita sentimentale e sessuale decisamente instabili. Fleabag ha un umorismo particolare, non tutti lo apprezzano, ma è una serie vera. Nessuno vorrebbe essere lei eppure, in un certo senso, tutti lo siamo per qualche verso. È crudo, il linguaggio è spinto (già quello della commedia venne considerato “rozzo e volgare”) e ciò lo rende ancora più vero. Conta due stagioni e si trova su Amazon Prime Video.

L'ispettore Barnaby

L'ispettore Barnaby è un po' il Colombo inglese, più che una serie è ormai un'abitudine, rassicurante come una tazza di té caldo. La serie è ambientata nell'immaginaria contea di Midsomer (il titolo originale è Midsomer murders) dove, tra cottage tradizionali, pub e mercatini dell'usato, ci scappano numerosi morti, mai accidentali e spesso uccisi con trucida (e ridicola) crudeltà. John Nettles, già noto per la serie L'asso nella manica, interpreta un poliziotto gentile ma fermo, intelligente e istruito che avrebbe potuto fare carriera nei servizi segreti e trova a volte un po' stretta la mentalità campagnola, detesta i pettegolezzi e pretende il massimo dai suoi sergenti (i più noti sono Gavin Troy, un ragazzone immaturo che Barnaby modella in un buon poliziotto, e Ben Johnson, scelto personalmente dall'ispettore per affiancarlo). Il grande pregio di Barnaby sta nella sottile ironia che colpisce i capisaldi della vita mondana nel villaggio inglese, a partire dalle festine per raccogliere fondi per la parrocchia, le rievocazioni storiche, le battute di caccia degli aristocratici, le manie new age, per citarne alcune. Ognuno di questi luoghi di buone maniere e ritualità sociale diventa una scena del delitto, di cui Barnaby svelerà il lato oscuro e meschino. Allo stesso modo viene sbeffeggiata una certa pruderie britannica, spessissimo gli omicidi sono amanti, oppure fratelli incestuosi o omosessuali che non riescono ad accettare la propria identità sessuale. Parallelamente alle indagini seguiamo la vita famigliare dell'ispettore, il cui perno è la moglie Joyce (Jane Wymark), una casalinga svampita perennemente impegnata in corsi di acquerello, pesche di beneficenza, cori e club della lettura, e abilissima nell'inciampare in cadaveri (in tutta la serie ne scopre almeno tre). È quasi una fata turchina che appoggia esternamente le indagini e può sorprendere col suo anticonformismo e la pazienza nel sopportare i continui ritardi e fughe del marito per raggiungere il luogo di un nuovo omicidio.
Quando John Nettles ha abbandonato la serie (stagione 14) gli è succeduto il cugino John, interpretato da Neil Dudgeon, già comparso in una precedente stagione nei panni di un giardiniere: se da una parte i personaggi e le ambientazioni si sono aggiornati, dall'altra le ultime stagioni presentano polizieschi più omologati e decisamente meno divertenti e ironici.
E siccome nelle serie inglesi girano spesso gli stessi attori, ne “L'ispettore Barnaby” potrete personaggi divenuti noti con altre serie o al cinema, ad esempio Toby Jones, già interprete di Infamous nel ruolo di Truman Capote o di Detectorists, serie recensita nelle scorse settimane.

Crediti immagine: midsomermurders.org

“Orgoglio e Pregiudizio” e “Emma”

Dio benedica la BBC per le sue trasposizioni dei romanzi di Jane Austen, affascinanti e prodotte con maestria e grande rispetto della materia prima, tanto fedeli al libro che anche i fanatici -come la sottoscritta- possono seguirle senza trovare nulla da eccepire. Orgoglio e pregiudizio, del 1995, vinse un premio Bafta e affermò il talento e la prestanza di un giovane Colin Firth nei panni di Mr Darcy, perfetto con la sua aria da ragazzo imbronciato, che si scontra con la concretezza e l'intelligenza di Elizabeth Bennet (interpretata da Jennifer Ehle). I costumi e le ambientazioni sono perfetti e c'è solo il rischio di consumare il dvd a furia di riguardarlo.
Emma, miniserie del 2009, è decisamente più frizzante, grazie agli imbarazzanti pasticci che combina la protagonista, animata dalle migliori intenzioni ma decisamente non molto brava a combinare matrimoni, e ai due protagonisti, Romola Garai (che abbiamo visto recentemente al cinema in Miss Marx) e Johnny Lee Miller, indimenticabile Sick Boy in Trainspotting e ora Sherlock Holmes in Elementary; la loro fisicità, più dinamica, e le loro interpretazioni, meno classiche di quelle di Ehle e Firth, inseriscono un elemento di novità in una cornice di rigorosa fedeltà al testo della Austen.

Crediti immagini: bbc.com e pinterest

Doctor Who

Longevissima serie di fantascienza, Doctor Who ha attraversato almeno 60 anni (il primo episodio è del 1963!) di televisione, assorbendo lo spirito del tempo e rimanendo sé stesso. Il Dottore è un bizzarro alieno, attraversa lo spazio e il tempo col suo mezzo di trasporto, il Tardis, che esternamente ha l'aspetto di una cabina della polizia e internamente è una vera e propria astronave. Grazie alla capacità di rigenerarsi il Dottore non muore ma cambia forma, invecchiando, ringiovanendo e addirittura, nelle ultime stagioni, cambiando sesso.
Le prime puntate, ancora in bianco e nero, sono
caratterizzate da un'atmosfera misteriosa, gotica, che negli anni si è andata perdendo a favore di una fantascienza più leggera e divertente; caratteristici gli effetti speciali, una commistione tra digitale e materico che sfida il freddo realismo americano e connota da sempre la serie (in quale altra produzione sarebbe possibile trovare cattivi come i Dalek?). Tra i dottori più noti delle stagioni recenti, l'attore shakespeariano David Tennant (il decimo Dottore). E a proposito di Tennant…

Crediti immagini: express.com, theguardian.com.

Broadchurch

Ultima serie della rubrica, ma non ultima per importanza, Broadchurch. Come dice il titolo, la serie è ambientata a Broadchurch, un’immaginaria città inglese e narra le vicende del detective Alec Hardy (David Tennant, appunto) e Ellie Miller (Olivia Colman). Alec Hardy è appena stato promosso al grado di ispettore della polizia locale quando la comunità è scossa dal ritrovamento sulla spiaggia del cadavere del piccolo Danny Latimer. Nel corso delle indagini, in cui sarà affiancato da Ellie Miller, si scoprirà che Broadchurch non è il luogo idilliaco che tutti immaginavano. La storia segue in particolare le vicende della famiglia Latimer e di tutti quelli ad essa vicini, senza risparmiare nessuno. È stato detto che la serie presenta tratti tipici del Noir Scandinavo: andamento lento e riflessivo e personaggi con problemi personali che riflettono questioni anche a livello sociale. La serie conta tre stagioni.

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E voi le avete viste?
Qual è la vostra preferita?
E, se non le avete viste, quale vi ispira?

Un saluto,
Melz, Ms Rosewater ed Eleonora :)


Fonte immagini: Google Immagini

lunedì 4 giugno 2012

Dalla pagina allo schermo: The host


Fan di Stephenie Meyer, siete pronti per un nuovo adattamento cinematografico di un romanzo della vostra scrittrice del cuore?
Dovremo aspettare un po', esattamente il 29 marzo 2013, ma probabilmente ne varrà la pena. Sarà nelle sale italiane infatti il film tratto dal romanzo "The host", L'ospite.


Dimenticate il mondo dei vampiri romantici e sexy di Twilight. Dimenticate il sorriso disarmante di Edward, gli addominali scolpiti di Jacob, la tenera umanità di Bella. 
Protagonisti di questo romanzo sono niente poco di meno che gli alieni! Anche questa volta è previsto un triangolo amoroso, come nelle migliori delle tradizioni. Della serie "chi non li ama?" ma è qualcosa di completamente diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare.

La storia


The Host racconta di un futuro in cui una razza aliena ha completamente soggiogato gli esseri umani.
I pochi umani rimasti, vivono raccolti in piccole comunità di fuggiaschi. Tra loro c'è Jared, l'uomo che la giovane Melanie, da poco caduta nelle mani degli "invasori", ama e non riesce a dimenticare.


 Neppure adesso che il suo corpo dovrebbe essere niente più di un guscio vuoto, un semplice involucro per l'anima aliena che le è stata assegnata. Perché l'identità di Melanie, i suoi ricordi, le sue emozioni e sensazioni, il desiderio di rincontrare Jared, sono ancora troppo vivi e brucianti per essere cancellati.


Così l'aliena Wanderer si ritrova, del tutto inaspettatamente, invasa dal più umano e sconvolgente dei sentimenti: l'amore. E, spinta da questa forza nuova e irresistibile, accetta, contro ogni regola e ogni istinto della sua specie, di mettersi in cerca di Jared.


Per rimanere coinvolta, insieme a Melanie, nel triangolo amoroso più impossibile e paradossale, quello fatto di tre anime e due soli corpi.

Booktrailer



Cast

Saoirse Ronan  Melanie Stryder




William Hurt  Jeb Stryder




Max Irons Jared Howe



Jake Abel Ian O’Shea



Diane Kruger La Cercatrice



Boyd Holbrook Kyle O’Shea



Chandler Canterbury Jamie Stryder








Stephen Rider Seeker Reed


Allora, chi di voi ha letto il libro? E che ve ne pare del cast del film?
Io trovo che non sia niente male e sono sicura che sarà fantastico. Il regista è Andrew Niccol (Lord of War, In Time). Non so voi, ma a me "In Time" è piaciuto tantissimo, quindi mi aspetto grandi cose anche da "The Host", soprattutto sapendo che anche qui, come era stato in Twilight, c'è lo zampino della cara baciata-dalla-fortuna Stephenie Meyer per quanto riguarda delle decisioni creative del film.



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