Buongiorno, lettori! ^^
Oggi è martedì e ritorna l’appuntamento con Coffee&Ciak, la rubrica dedicata a libri e serie tv. In questo periodo di vacanza, ma anche di confusione, chi non ha bisogno di un po’ di leggerezza? E cosa c’è di meglio che coccolarsi con qualche serie tv guilty pleasure che ci faccia rilassare e distrarre? Melz, Eleonora, Ms Rosewater e io abbiamo pensato di parlarvi delle nostre guilty pleasure preferite, serie che, lungi dall’essere dei capolavori, a noi attraggono come non mai e riescono a tenerci incollate allo schermo, nonostante talvolta vorremmo urlargli contro. Insomma, quelle serie amate ma anche odiate, perfette da concedersi quando abbiamo bisogno di staccare un po’ la spina.
GUILTY PLEASURE DI FRANCI
Comincio io con tre serie guilty pleasure tutte recuperate su Netflix. La prima è Ginny&Georgia. Di questa serie, al momento, è disponibile una sola stagione, ma è in arrivo una seconda. Uscivo da una maratona della mia cup of tea di tutte le serie tv, Una mamma per amica, quando ho deciso di buttarmi su Ginny&Georgia. Qualcuno osava fare paragoni tra le due, ma è stato chiaro, già dalla visione dei primi episodi, che avevano davvero poco in comune, se non una mamma giovane e una figlia adolescente alle prese con tanti problemi. Toltomi dalla testa di aver trovato un’altra serie come Una mamma per amica, mi sono goduta Ginny&Georgia per quello che è: un prodotto accattivante con qualche innegabile difetto. Abbiamo una madre, Georgia, giovane, bellissima e parecchio esuberante che con gli uomini ha sempre avuto problemi (non a trovarli ma a tenerseli). Sua figlia, Ginny, però, di problemi, ne ha parecchi di più (non con i ragazzi, ma in generale). Provocatoria, autolesionista, ribelle, incoerente e chi più ne ha più ne metta, vi sfido a non trovare irritante una ragazzina del genere. Per quanto non riescano a far altro che litigare si vogliono un gran bene e sono disposte a proteggersi e a compiere anche le peggiori azioni per farlo. Non vi dico nulla, perché se non l’avete ancora visto vi ritroverete davanti a diverse sorprese scioccanti e non voglio spoilerarvi, ma sappiate che Ginny e Georgia sono davvero fuori di testa e forse è proprio questo loro lato imprevedibile, il loro rapporto fragile e altalenante a tenere viva l’attenzione dello spettatore. Sono due personaggi da cui puoi aspettarti di tutto, anche cose illegali, anche atti criminali. Insomma, inizi questa serie e ti ritrovi a divorare episodio su episodio solo per capire fin dove si spingeranno le due pazze. Un guilty pleasure coi fiocchi, credetemi!
La seconda serie che mi intrattiene ormai da un paio d’anni e di cui aspetto sempre con impazienza la nuova stagione è You, di genere thriller psicologico, con protagonista il Dan Humphrey di Gossip Girl, Penn Badgley. Qui interpreta un giovane libraio, Joe Goldberg, che non appena mette gli occhi sulla ragazza che potrebbe essere la donna della sua vita se ne innamora a tal punto da esserne ossessionato. E quell’ossessione diventerà qualcosa di malato, di inquietante, di pericoloso, rendendo Joe un vero e proprio stalker e maniaco. Questa serie ha davvero tante cose sbagliate, eppure ti ritrovi ad appassionarti alle vicende del protagonista psicopatico e a voler morbosamente capire cosa combinerà. La serie è costruita magistralmente, seguiamo le vicende dal punto di vista di Joe, di cui ci vengono mostrati lati di una facciata perbene e lati maniacali che lo portano a compiere azioni riprovevoli e a commettere omicidi. Sembra sempre che ogni sua azione sia giustificata, siamo quasi portati a provare compassione per questo personaggio, ecco perché è una serie che, secondo me, ha qualcosa di sbagliato, perché non dovresti empatizzare con l’assassino di turno. E in questo sta la vera genialata di You che, per chi non lo sapesse, è tratta dall’omonimo romanzo di Caroline Kepnes. Anche in questo caso, una serie che etichetto come mia guilty pleasure personale, che si fa guardare nonostante le tematiche non proprio corrette e che mi ha sorpresa a dispetto dell’assurdità di alcune scene o trovate.
Ultima serie che ho deciso di aggiungere a questo elenco è Bridgerton, la serie tv prodotta da Shonda Rimes, basata sui romanzi di Julia Quinn. Si è fatto un gran parlare di questa serie e tra pregi e difetti chiunque l’abbia vista sono sicura che stia aspettando con impazienza la seconda stagione (e quelle a seguire). È ambientata a Londra in epoca Regency e ha come protagonista la famiglia Bridgerton, di cui fanno parte ben otto figli. Nella serie originale della Quinn ogni libro è dedicato a un Bridgerton diverso, nella prima stagione Netflix l’attenzione è focalizzata su Daphne e sul duca di Hastings, Simon, interpretato da un aitante Regé-Jean Page. Come mai questa serie rientra tra le mie guilty pleasure? Adoro le serie in costume, sono forse le mie preferite in assoluto, e ho atteso l’uscita di questa come poche mai. C’è da dire, però, che tante cose fanno storcere il naso dopo la visione completa di Bridgerton. Tralasciando la poca accuratezza storica e le libertà che la Rimes e il creatore hanno adottato rispetto al romanzo, ci sono picchi di trash di non poco conto e metà della serie si può dire che sia basata sul sesso. Eppure… eppure la si guarda con trasporto. Riesce a calamitare l’attenzione grazie a splendide scenografie, a momenti di tensione non indifferenti e a protagonisti interessanti. Alla fine ti ritrovi a pensare che no, non è la tua serie del cuore, che tante cose non sono come te le saresti aspettate, ma cavolo se non desideri vederne ancora!
E adesso do la parola alle mie collaboratrici. Scoprite di che serie ci parleranno e fateci sapere poi quali sono le vostre guilty pleasure ;)
GUILTY PLEASURE DI ELEONORA
Quando si parla di guilty pleasure nelle serie tv io penso subito a CSI-Las Vegas, in particolare alle stagioni dalla 1 alla 9/10 (anche se in realtà sono 15), perché? Perché ogni anno la ritrasmettono per l’ennesima volta in tv ed io, ogni anno, non riesco a fare a meno di guardarla, potrebbe avere a che fare con la mia lievissima (spropositata) adorazione per personaggio del “grande capo” Gil Grissom?? Assolutamente e decisamente sì ma non solo…
Per chi non conoscesse questa serie la sigla CSI sta per Crime Scene Investigation e di fatto di questo parla lo sceneggiato: tutto il copione ruota attorno ad una squadra della scientifica che, episodio dopo episodio, si ritrova a dover risolvere i più efferati crimini nelle circostanze talvolta più assurde (vedere, ad esempio, l’episodio con la setta dei Rettiliani) e talvolta più angoscianti che possano venire in mente allo spettatore. A parte questo però durante le varie stagioni impariamo anche a conoscere tutti i vari componenti della squadra più affiatata di tutti i vari CSI, in ordine: Gil Grissom, il pilastro portante della squadra, Catherine, braccio destro di Grissom, Nick, Sarah e Warrick i tre elementi che affiancano Gil e Catherine e, ultimi ma non per importanza, Greg, inizialmente strambo topo di laboratorio che poi si unirà alla squadra “sul campo” e il Dottor Robbins, il medico legale con una insana passione per il suo lavoro e che conserva in un album le foto dei cadaveri delle celebrità che passano per suo tavolo. Il rapporto che c’è tra tutti questi personaggi è uno degli aspetti che più apprezzo di questa serie, in generale. A mio parere, in questa serie Tv viene dato grande risalto alla componente psicologica di tutti (squadra, vittime, assassini ecc.) rispetto ad altri polizieschi/investigativi che ho visto; l’altro aspetto che adoro è sicuramente la parte di laboratorio che, da brava piccola chimica in corso d’opera, per quanto magari non realistica al 100% non posso fare a meno di apprezzare. Menzione d’onore per il colpevole della mia “infatuazione televisiva” Gil Grissom (il personaggio, non l’attore), personaggio molto complesso e difficile da decifrare, è un entomologo con una sete di conoscenza pressoché infinita e una passione per le parole crociate, non dà mai giudizi affrettati su niente e nessuno, cerca costantemente l’imparzialità e risponde a tutto con la logica e i fatti. Il suo motto è: “Le prove non mentono mai, gli uomini si”; a proposito, ogni tanto quando si trova sulla scena di un crimine se ne esce con delle frasi fatte un filo agghiaccianti, ma a lui si perdona tutto, più o meno.
Altra serie “guilty pleasure” per me è IZombie che mischia zombie (che sorpresa!) e indagini per omicidi ed è tratta parzialmente dall’omonimo fumetto di Chris Roberson e Mike Allred. La protagonista è Olivia “Liv” Moore una studentessa di medicina che si è trasformata in zombie dopo essere stata morsa ed aver contratto il virus. Per rimanere il più possibile umana e non diventare uno zombie “alla Romero”, per capirci i classici zombie tutti decomposti che camminano con le braccia in avanti e gli arti rigidi ripetendo “cervelli, cervelli”, si fa assumere dal Dottor Chackrabarti come assistente presso l’obitorio, dove ha un accesso pressoché costante ai cervelli umani e allo stesso tempo cerca una cura al virus dello zombismo. L’assunzione di cervelli però le fa assorbire gli ultimi ricordi e in parte la personalità dei cadaveri che si ritrova ad esaminare, se da una parte questo si rivela un fastidioso effetto collaterale della sua nuova dieta dall’altra le permette di collaborare con la polizia nelle indagini per gli omicidi e, casualmente, anche nei loschi affari dei responsabili della messa in circolo del virus zombificante. Tutta questa parte poliziesca si va immancabilmente ad intrecciare con i vari affaires, sentimentali e non, che caratterizzano la vita privata di Liv. Qui tra storie d’amore che nascono, finiscono o vengono messe in pausa, amicizie tradite e rinnovate c’è veramente di che rimanere confusi. Perché amo tanto questa serie?? Indubbiamente per la sua componente un po’ splatter presente in molti episodi sotto forma di battaglie tra zombie e trapanamenti di crani umani nella sala autoptica (detta così sembra inquietante ma non lo è, garantito), per i modi creativi in cui Liv prepara e mangia i cervelli, quasi fossero una prelibatezza gourmet (li preferisce con un’aggiunta di salsa piccante) e ovviamente per tutti i vari personaggi che dividono la scena con lei, a partire dallo scettico detective e dal medico legale un po’ nerd fino al subdolo e indecifrabile boss della mafia zombie che gestisce un ampio giro di droga e cervelli sul mercato nero. La parte che preferisco di più, però (oltre alle lezioni di cucina per quasi-morti), sono le varie personalità che assume Liv ogni qualvolta che mangia un cervello, che possono variare da normale a visionario, ossessivo compulsivo o folle patologico e tutto ciò costituisce una parte veramente comica della serie, specie quando la nostra zombie deve tentare di spiegare i suoi comportamenti un po’ anomali a chi non sa della sua condizione.
GUILTY PLEASURE DI MELZ
Dalla mente geniale di Ryan Murphy e una protagonista scritta sull’attrice principale, Emma Roberts, nasce uno dei miei guilty pleasure: Scream Queens. Non avete idea di quanto abbia sofferto alla sua cancellazione dopo solo due stagioni. Scream Queens non è una di quelle serie accidentalmente trash, lei nasce per essere trash. È infatti una parodia del genere horror. Segue le vicende di Chanel Oberlin (Emma Roberts), presidentessa della confraternita kappa kappa tau e delle sue minions: Chanel #2 (Ariana Grande), Chanel #3 (Billie Lourd) e Chanel #5 (Abigail Breslin) perseguitate da un serial killer mascherato. Inizialmente, c’era anche una Chanel #4, ma essa muore prima dell’inizio del telefilm di meningite. La storia ha inizio quando il Decano Cathy Munsch (Jamie Lee Curtis) decide che Chanel deve accogliere nella sua confraternita ogni tipo di ragazza, senza distinzioni, l’unico requisito è che lo voglia. Ecco che si fa la conoscenza delle brillanti Grace (Skyler Samuels) e Zayday (Keke Palmer) e della stramba Hester Ulrich (Lea Michele). Un cast giovane e famoso, attori come Nick Jonas e Glenn Powell. Lo scopo dei ragazzi è scoprire chi sia il colpevole e, come in ogni cliché horror che si rispetti, la verità non è mai troppo nascosta: basta solo scoprirla. Scream Queens è assurdo, è risate e “ma cosa cavolo sto guardando?”, ma la voglia di andare avanti è più forte di quella di abbandonare. Scream Queens per me è GENIALE. Guardatelo e ditemi se non ne vale la pena, se non altro per Niecy Nash nel ruolo della poliziotta più stramba di sempre.
Con Scream Queens andavo sul sicuro, è sicuramente un Guilty Pleasure. Con Riverdale, invece, so che posso scatenare polemica e va bene così. Riverdale piace anche a me, eppure non me la sento di dire che non è trash. Riverdale è una serie di genere teen drama basata sui personaggi degli Archie Comics. Si narra della vita di cinque amici: Archie (KJ Apa), Betty (Lily Reinhart), Veronica (Camila Mendes), Jughead (Cole Sprouse) e Cheryl (Madalaine Petsch) nella città di Riverdale. Ogni stagione, o metà stagione, presenta un mistero in cui si imbatteranno i protagonisti fino a risolverlo. Il vero problema di questa serie, che la rende così trash, è che tutto è troppo. Le situazioni sono surreali, troppo. Sono assurde, troppo. Archie sta senza maglietta, troppo. No, questo no, è sempre un piacere vederlo senza maglietta. Ma, nonostante sia troppo, i tuoi occhi ti costringono a guardala. Ne vuoi sempre di più di bizzarri personaggi che sbucano dal nulla, di Cheryl che non sbaglia mai un colpo, di Archie senza maglietta. L’ho detto di nuovo? Insomma, Riverdale è così. La ami e la odi allo stesso tempo e va bene così.
GUILTY PLEASURE DI MS ROSEWATER
Prodotta e trasmessa tra la fine del 1900 e l'inizio del ventunesimo secolo, “Will & Grace” non è propriamente una guilty pleasure, anche se ha qualche innegabile sfumatura trash.
E' stata una delle prime serie con protagonisti dichiaratamente gay e l'omosessualità, pur rimanendo centrale, non è mai trattata a fini educativi o moralisti, grazie all'abile contrapposizione di due coppie che sono l'una lo specchio comico dell'altra.
Da una parte ci sono l'avvocato gay Will, sensibile e un po' insicuro e la sua amica Grace, designer d'interni decisamente sciroccata e nevrotica, vivono nello stesso appartamento a Manhattan affrontando avventure bizzarre, soprattutto sentimentali e lavorative. All'estremo opposto si trovano Jack, amico gay di Will, estroverso, invadente e ironico, e Karen, una riccona che dovrebbe lavorare per Grace ma preferisce imbottirsi di alcol e pasticche, fare shopping e prendere in giro Grace per la sua misura di reggiseno. Jack e Karen sono l'elemento destabilizzante, estremo ed anarchico, vivono in una realtà alternativa a quella di Will e Grace, surreale, in cui accade veramente di tutto, come il matrimonio di convenienza di Jack con la colf messicana di Karen per permetterle di restare negli Stati Uniti: la colf è pigra e scorbutica con Karen, ma lei è affezionata alla donna e la tiene comunque al suo servizio. Nonostante le battute acide che si scambia, questo terzetto in apparenza anaffettivo, accetta gli altri per quello che sono, con pregi (pochi) e difetti (infiniti), ed è così cinico e scoppiettante da offuscare l'interesse per i protagonisti, ancorati ad una realtà credibile e “seria”, simile a quella di tante sitcom.
Le serie francesi sono raramente dei capolavori e “Profiling” non smentisce la tradizione. Chloe Saint-Laurent, è una profiler che sembra avere 16 anni, forzatamente stralunata e goffa (nonché, ovviamente, brillante) e dal look super colorato e originale (il reale motivo per seguire la serie). Chloe passa la maggior parte del tempo roteando gli occhi e facendo la faccina imbronciata, mentre i pezzi del suo fantastico guardaroba sfilano sulle scene del delitto. Magicamente i casi si risolvono, ma più che sulle indagini, l'attenzione degli spettatori è concentrata sulle vicissitudini sentimentali di Chloe: il prestante commissario Rocher, prevedibilmente razionale e dai modi ruvidi e sinceri, è evidentemente colui che tutti si aspettano s'innamorerà della protagonista, anche se lei avrà altre relazioni, prima con un magistrato e poi con un poliziotto, ritenuto dall'irreprensibile Rocher colluso con i trafficanti di droga. Il culmine kitsch della serie si gusta nelle puntate speciali in cui i personaggi sono proiettati in realtà alternative, che danno a Chloe l'occasione di sfoggiare abiti d'epoca e le fantasie romantiche degli spettatori sono finalmente appagate. Una serie poliziesca che sembra diretta a un pubblico adolescenziale. Profiling vedrà un'evoluzione verso l'omologazione del personaggio principale a modelli più conformisti: a Chloe infatti succederanno Adéle ed Elisa, personaggi con pretese di maggiore serietà che rendono ancora meno interessante il telefilm.
A presto!
Franci, Eleonora, Melz, Ms Rosewater
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