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sabato 17 luglio 2021

Recensioni: "5 libri da attesa per viaggiare in Giappone" (a cura di Elena)

Buongiorno, lettori! ^^
Oggi spazio ad Elena - una delle nuove collaboratrici - che ci porta in Giappone! In questo articolo/recensione ci parla di 5 piccoli libricini, che lei definisce "da attesa" (nel post scoprirete perché), e ci fa davvero emozionare. Per chi non conosce la letteratura giapponese, ma ne è affascinato e vorrebbe iniziare a leggerla, beh, perché non partire  proprio dai libri che vi consiglia lei?
Buona lettura! ^^


5 LIBRI DA ATTESA PER VIAGGIARE IN GIAPPONE

Quanto possono lasciare dei libricini con meno di 160 pagine?

In coda sotto il sole, in macchina con il rumore della pioggia di sottofondo, alla fermata dell’autobus, seduti tra mille sedie prima del vostro turno, sul treno mentre il paesaggio scorre… Vi è mai capitato di trovarvi improvvisamente bloccati in un luogo semi sconosciuto, lontano da casa e in un tempo che sembra prolungarsi senza fine? L’unica salvezza per me è armarmi di un “libro da attesa”, sempre presente nella mia immensa borsa, un romanzo breve o una serie di racconti, che mi tenga compagnia e, quasi per magia come in una sequenza che sfuma, trasformi quel luogo e quel tempo d’attesa in un’avventura, grazie alle parole che mi scorrono davanti agli occhi.

Oggi queste parole ci porteranno in Giappone e vi consiglio cinque (con bonus!) romanzi brevi, tra le 100 e le 160 pagine, di autrici ed autori giapponesi natii, di origine o di seconda generazione. Romanzi che consiglio anche a chi vuole approcciarsi alla letteratura giapponese contemporanea, con stili, generi e tematiche per tutti i gusti.

Pronti? Partiamo!

Azami, Hōzuki, Suisen di Aki Shimazaki

Azami, Hozuki, Suisen sono i primi tre romanzi brevi che compongono la pentalogia de L’ombra del cardo ad oggi in corso di pubblicazione (il quarto dovrebbe uscire ad ottobre mentre il quinto a febbraio dell’anno prossimo): possono essere letti separatamente, in ordine sparso e/o in modo autonomo ma la lettura integrale della serie arricchirà la storia, scorgendo dettagli e svelando intrecci inattesi. Le note delle ninne nanne e i significati dei fiori sono le chiavi che uniscono e aprono all’altro, ai segreti e ai passaggi da una storia all’altra.

“Traccio mentalmente una catena e ogni maglia porta un nome. […] Sono tutti legati tra loro, in modo diretto o indiretto. L’inizio e la fine sono uniti senza conoscersi.”

In poche pagine e con il suo stile asciutto, la scrittrice gioca con noi, ci inganna e ci svela piccoli indizi, ci permette di percorrere i fili della vita dei protagonisti e delle protagoniste, di scoprire i legami, le parole e le azioni, ma allo stesso tempo ci sgrida, ci ricorda che non ci riguarda.

“Anche stasera il tuo cuscino è bagnato di lacrime.

Chi sogni? Vieni, vieni a me.

Mi chiamo Azami. Sono il fiore che culla la notte.

Piangi, piangi fra le mie braccia. L’alba è ancora lontana.”

Iniziamo con Azami, romanzo di 135 pagine, che ho apprezzato per lo stravolgimento dei pregiudizi e per il racconto della quotidianità. Facciamo la conoscenza di Mitsuo, un uomo che si divide tra il lavoro che inizia a sentire stretto, la sua famiglia e una relazione intima con una donna che emerge dal suo passato e che chiamava “azami”, come il fiore bellissimo e pericoloso del cardo, un fiore che non si regala mai per le sue spine, un fiore che nasconde dei misteri. Ci immergiamo in uno scorrere di coincidenze, giochi di parole, menzogne, presente e passato che si intrecciano tra ricordi, speranze e un finto equilibrio. Una rinascita e una svolta che lascia con una chiusura e qualcosa di incompiuto: in effetti, come anticipato, tra salti temporali, la storia fa parte di una pentalogia, una struttura narrativa a spirale, che la scrittrice predilige, come si può leggere nelle raccolte complete già uscite “Il peso dei segreti” e “Nel cuore di Yamato”. Sono dei romanzi che racchiudono in sé cinque romanzi brevi, le cui storie sono profondamente legate tra loro, come un filo rosso, trovando un significato nelle vite e nei gesti dei singoli personaggi. Sono come delle isole a cui manca la visione d’insieme del suo arcipelago: occorre insieme un’osservazione da vicino per l’indagine psicologica dei personaggi ma anche una visione distante per il ripercuotersi delle scelte, ma il tutto perfettamente equilibrato per una lettura autoconclusiva.

“Hōzuki, hōzuki, l’amore in gabbia.

Arancio come il giglio tigrato.

Splendente come il sole.

Che gioia! Sei la mia luce!”

Passiamo a Hōzuki, romanzo di 138 pagine. Qui troviamo una libreria che conserva dietro alla carta e l’inchiostro la storia di una donna determinata, coraggiosa e misteriosa. Incontriamo Mitsuki che vive la sua vita e sistema libri, finché il passato ritorna, si presenta con interrogativi e visite inaspettate tramite una donna che entra semplicemente alla sua porta. La protagonista, così, si ritrova a snocciolare ricordi, ad affrontare i fili del suo passato, a capirlo. Tra accenni di conversazioni quotidiane, sulla filosofia e sulla religione, sulla vita e sulla morte, sulla disabilità e la “normalità”, ci ritroviamo coinvolti nella ricerca della verità, semplice e pura, senza pregiudizi né giudizi. La risposta a tutto questo è un’entità superiore, “il mondo è proprio piccolo” oppure si tratta di casualità o si cela dietro qualcosa? C’è una catena che lega le persone che si sfiorano per caso? Ogni anello un nome, un’azione, una parola che ci lega in modo diretto o indiretto. Non siamo isole. Nulla è ciò che appare, bisogna sempre girare le pagine, svelare, risvelare. E l’hozuki, con la sua forma a lanterna, simbolo di luce, speranza e salvezza, ci guiderà in questa ricerca.

“Nel campo di suisen, balli cullandomi.

Tra le tue braccia amorevoli, guardo il tuo dolce sorriso.

Il tuo volto è come il sole.

Mamma, non lasciarmi mai!”

Infine Suisen, romanzo di 160 pagine, in cui conosciamo Gorō, un degno rappresentante del moderno mito greco di Narciso, il giovane innamoratosi di se stesso che finisce per morire specchiandosi per ammirare la sua immagine riflessa. Gorō è egocentrico, opportunista, individualista, egoista, arrogante, ipocrita, maschilista. Tutti aggettivi che gli accostiamo durante la lettura degli episodi e delle vicende e ne traiamo un disegno lucido e preciso di un’analisi quasi clinica e psicologica, che proviene dai pensieri e dai ricordi dello stesso protagonista. Un protagonista camaleonte che irrita ma che la scrittrice, con la sua scrittura oggettiva, essenziale e precisa, a tratti cruda, non giudica mai ma narra così come è: descrive comportamenti ed azioni, la discesa di un uomo, e nel sottotesto lancia messaggi e denunce molto importanti nel contesto sociale in cui viviamo oggi, come la violenza psicologica e domestica. Non troviamo una redenzione ma uno spaccato, un momento di caduta, un insieme di fatti che hanno portato alla solitudine, ma allo stesso tempo esploriamo e cerchiamo di capire senza mai giustificare o perdonare. Non posso che ammettere che Gorō mi abbia fatta arrabbiare ed indignare ma allo stesso tempo volevo capire questo uomo ferito e che ferisce, un uomo che fa pietà e che forse ha una speranza e un nuovo inizio di consapevolezza.

L’anulare di Yoko Ogawa

“<Allora a cosa servono?>

<Difficile generalizzare. Le persone che vengono qui a chiedere un esemplare sono spinte da motivazioni che variano per ciascuno di esse. Si tratta sempre di questioni personali, che non hanno nulla a che vedere con la politica o l’economia, né con la scienza o l’arte. Con la preparazione degli esemplari rispondiamo esclusivamente a esigenze private. Capisce?>”

Il più piccino di questa selezione, con le sue 103 pagine, è L’anulare di Yoko Ogawa che lascia con il fiato sospeso, il desiderio di conoscere ma con l’ansia di scorrere le parole, le pagine fino alla fine. È una storia destabilizzante, ai confini della realtà, sospesa ma ancorata sulla riflessione e sulla ricerca di più di un significato, sulla realtà stessa delle cose: cosa sono gli esemplari, come si preparano e si conservano, perché? Separarsi e rinchiudere i ricordi per sempre, senza far loro più visita? Dimenticati, custoditi con nostalgia, paura, ansia o con sollievo? Una storia narrata con calma, finta rassicurazione e comprensione ma incalzante e fluida. Una storia che parte quasi come un percorso terapeutico di riscoperta e di accettazione ma che si trasforma in qualcosa di disturbante. Troviamo una protagonista senza nome, pochi ed importanti personaggi, una relazione morbosa. Descrizioni funzionali. Oggetti che sono più che composizioni di materiali. Un racconto scorrevole e claustrofobico che lascia sconvolti, inquieti e desiderosi di rileggerlo per svelare ancora i misteri. Si fonda, infatti, tutto sul mistero: non sappiamo l’anno, il luogo, la vita dei personaggi che entrano e scompaiono. Tutto ruota sull’inspiegato, sulla libertà di interpretazione, come ad esempio il legame tra ricordo, memoria ed ossessione. La trama fa da sfondo, le emozioni, le vostre emozioni, governeranno questa lettura!

Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi

“Quella casa attraversata da gradevoli correnti d’aria rasserenava i nostri animi come una camera ottica che proietti solo l’indispensabile.”

Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi è un romanzo di 132 pagine, nato come articoli/romanzo a puntate. È tra un racconto-resoconto, quasi una telecronaca, e un flusso di coscienza della vita del narratore, della moglie e anche di una gattina. Perfetto per le e gli amanti degli animali a quattro zampe sfuggenti e miagolanti. Questo diario ci presenta una coppia che vive i suoi incontri in un quartiere di periferia: le circostanze temporali sono molto precise, vanno dal 1987 al 1989, e rievocano un tempo vissuto e rielaborato con nostalgia e malinconia. Precise sono anche le indicazioni geografiche, dal macro al micro, con le strade, la stazione, gli alberi e le foglie e i suoi punti di riferimento, che sono descritti con uno stile molto realistico e particolareggiato, con un tocco di poesia da cui emergono come dei fermi immagine la fotografia della luna di notte o di una libellula in volo. Suggestive ed immaginifiche sono, infatti, le descrizioni della natura che fanno vivere a chi legge il trascorrere del tempo, delle stagioni e degli anni. I tempi verbali sono al passato, in quanto la voce narrante rievoca qualcosa che è successo, inserendo delle affermazioni e riflessioni sempre valide, presenti con richiami sorprendenti alla letteratura occidentale e in particolare anche a quella italiana. Il filo conduttore della storia è la comparsa quasi aliena di una gatta, che diventa una frequentatrice abituale fino a far parte della famiglia. L’incontro è qualcosa dettato dalla fortuna, intesa come virtù, qualcosa che con il tempo arricchisce e dona. Anche la casa, in cui sembra a chi legge di trovarsi ad esplorarne le stanze, diviene un’essenza viva, non solo elemento architettonico, ma un’entità che accoglie e aiuta nei momenti di crisi. Le relazioni con Ia gatta e la casa superano i confini della proprietà, senza rispettare i limiti: per l’autore lo stesso significato è anche attribuibile alla scrittura nel momento in cui essa viene condivisa e diventa qualcosa di vivo, che insegna e si insinua. Si può ritrovare, così, una ricerca di senso della vita nel ripetersi nei movimenti di ogni giorno che generano un flusso, connesso da qualche parte con un grande fiume. Esso contiene svariati temi, che potrebbero risultare sconnessi tra di loro ma fanno parte della vita di ogni essere umano: il legame, l’affetto, come affrontare una perdita e ripartire da essa, costruire qualcosa di nuovo, con quel tocco di realismo magico tipico della letteratura giapponese. Alla fine il diario ritorna in un’atmosfera sospesa, che potrebbe far pensare ad una chiusura fiabesca alla “c’era una volta”, che si può ritrovare grazie alle descrizioni accurate della strada e della casa, ma queste non saranno mai quelle ricordate. Il quartiere, le foglie e le persone non ci sono più, tutto scorre e cambia.

Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka

“Sii umile. Sii gentile. Mostrati desiderosa di accontentarli. Di’ solo <Sissignore> o <Nossignore>, e fai quello che ti ordinano. Meglio ancora, non dire niente del tutto. Adesso appartieni al mondo invisibile.”

Venivamo tutte per mare
di Julie Otsuka è un libro denuncia di 140 pagine, il libro più crudo di questa selezione. Narra, come ci riporta nei ringraziamenti la scrittrice, ritagli di vita delle biografie delle e degli immigrati giapponesi che arrivarono in America agli inizi del Novecento. In generale tratta della condizione migrante e in particolare della condizione delle donne, attuale ancora oggi: nel susseguirsi dei capitoli non è specificata una data perché potrebbe rappresentare qualunque epoca e luogo, come denota la scelta della scrittrice di usare la prima persona plurale, la potenza del “noi”. Non c’è una voce narrante, c’è un coro, un gruppo d’appartenenza che interpella un “voi” spesso cieco ed ipocrita. Nonostante la persona atipica, la struttura delle frasi è breve, semplice e scorrevole ma allo stesso tempo incisiva e diretta. Ho vissuto queste storie e questa narrazione in prima persona plurale al punto da diventare voce e testimone, come succede quando si ascolta uno spaccato di storia spesso nascosto. Tante esperienze e vicende diverse ma unificate dalle sensazioni ed emozioni provate e condivise. Così si presenta un gruppo di ragazze giapponesi, che attraversa l’Oceano Pacifico per arrivare nella costa ovest degli Stati Uniti, esattamente in California. Queste giovani, ricche e povere provengono da diverse zone e realtà del Giappone, dalla città alla campagna. Lasciano la loro casa, proprio per volere delle famiglie con l’illusione di trovare un marito. Iniziano un lungo viaggio tra le onde dell’Oceano, mosso e tranquillo, che culla sogni ed incubi. Una nave che trasporta giovani donne e dondola speranze di un buon matrimonio, una vita migliore e paure di un nuovo mondo. Nonostante le differenze di classe, provenienza, origine, sono accomunate dalla melanconia e dalla felicità di allontanarsi dal disagio. Con loro bauli grandi e piccini, pieni di ricordi e pezzi di cuore ed anima, kimoni, specchietti e porta fortuna. Con il viaggio ognuna deve fare delle scelte e scontrarsi con le bugie, i dolori e una realtà molto più dura e difficile da accettare fatta di soprusi, crimini ed ingiustizie.

“La lingua era dieci volte più difficile della nostra e le usanze erano imperscrutabili. I libri si leggevano dalla fine al principio e la gente si insaponava dentro la vasca […] Il contrario di bianco non era rosso, ma nero. Che ne sarà di noi, ci chiedevamo, in una terra così estranea?”

Le domande implicano risposte sottointese. Lo sguardo dei “bianchi” nei confronti di queste persone venute dal mare è un occhio dall’alto al basso, discriminante, giudicante, escludente. Molto difficile il confronto e l’integrazione. L’unica soluzione è imparare ad estraniarsi, a diventare invisibili. Anche i figli e le figlie sono discriminati e le donne vedono il ripetersi nei loro confronti di comportamenti ed azioni che le hanno tenute lontane dalla società. Le madri vedono questa nuova generazione diversa, che vive sospesa nel mezzo di due culture, che pratica l’arte dell’acrobata, in bilico tra due culture che non la accetta mai del tutto. I figli e le figlie costruiscono una terza cultura, lontana dai miti, dalle tradizioni, dalle parole, dal modo di camminare e dal cibo della colazione. Le madri invidiano la facilità di far propria una lingua che per loro rimarrà per sempre sconosciuta, innescando nuovo dolore e nuovi shock culturali. E poi un giorno diventano il nemico, le e i traditori di un paese che non conoscono e da cui sono stati sfruttati. Ai vecchi pregiudizi e agli atti di razzismo si aggiunge l’odio e la paura, gli arresti e le deportazioni (argomento trattato ed approfondito dalla scrittrice in Quando l’Imperatore era un dio, un altro perfetto titolo da attesa). Una nuova vita di ansia e privazioni dettate dalle leggi, solo per essere nate e nati in un paese diverso e colpevoli di venire dal mare. Julie Otsuka sposta il faro su un altro “noi” e pone domande e costringe alla riflessione. Dà voce e ridà dignità a donne, uomini, bambine e bambini: storie e voci che non saranno più scomparse tra i flutti del mare e tra la polvere del deserto, non più figure evanescenti, ma reali con nomi e cognomi, non più fantasmi ma esseri umani.

Ed eccoci qui alla fine del nostro viaggio tra storie quotidiane, misteriose e di denuncia; dolci, ansiogene e profonde; inventate e storiche; lontane e vicine. Storie che diventano compagne di vita.

Non mi resta che augurarvi buon viaggio e buone letture,



Elena

Foto: @tsundoku_bookstyle

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