Buongiorno, lettor*!
Oggi una nuova recensione per voi! La nostra Ms Rosewater ci parla del libro "A/metà" di Jasmin B. Frelih, uscito per Safarà Editore, una storia molto particolare, dallo stile ricercato, che le ha dato un po' di filo da torcere ma che l'ha anche colpita. Vi lascio alla sua recensione e, come sempre, non dimenticate di lasciare un segno del vostro passaggio se apprezzate le nostre recensioni ;) A presto!
A/metà
di Jasmin B. Frelih
Prezzo: 21,00 € (cop. flessibile)
Pagine: 364
Genere: distopico, fantascienza
Editore: Safarà Editore
Data di pubblicazione: 26 agosto 2021
È il 2036, venticinque anni dopo l’avvento della Grande Cacofonia che ha distrutto la rete di comunicazioni globale inaugurando l’era post-Internet. In un mondo incerto sulla soglia del tempo che ospita le vestigia di passato, presente e futuro – dove in rigogliosi boschi sloveni ci si imbatte nei corpi di soldati austroungarici mentre a Edo conturbanti cyborg vengono assunti come agenti teatrali – tre vecchi amici, Zoja, celebre poetessa trapiantata a Brooklyn, Evan, geniale regista teatrale allo sbando, e Kras, ex ministro della Guerra, saranno destinati a incontrarsi riannodando i fili interrotti delle loro esistenze in una narrazione esilarante e gioiosamente anarchica capace di evocare con occhio profetico una possibilità del nostro più imminente futuro.
Prima di tutto, cara Safarà Editore:
NON E' STATA COLPA MIA!
Avevo tanti libri da finire, il gatto miagolava, il lavoro mi assillava, dovevo dare un esame, il treno era sempre in ritardo, avevo finito la benzina, c'è stato il terremoto, LE CAVALLETTE! Non è stata colpa mia se ci ho messo tipo tre mesi a leggere il libro!
Detto questo, passiamo alla recensione...
“A/metà” fu pubblicato per la prima volta in Slovenia nel 2013, vinse il Premio per la Letteratura della Comunità Europea e solo nel 2021 (8 anni dopo!) è arrivato nelle librerie italiane. Jasmin Frelih scrisse questo libro quando aveva solo 27 anni, particolare che si deve tenere presente affrontando queste pagine.
La trama dichiarata dai risvolti di copertina narra di un futuro non troppo lontano (2036) in cui il Grande Taglio ha posto fine all'era di internet, distruggendo la rete di comunicazioni globale; tuttavia, questi eventi - pur richiamati all'interno del libro - sono come un ponteggio edilizio nella nebbia, cioè non sembrano influenzare né le azioni dei personaggi né i luoghi dove si trovano. Anzi, i protagonisti citano il Grande Taglio (viene descritto lo shock di un poveraccio che non riesce più a prelevare dal bancomat), ma nessuno sembra ricordare il mondo prima o avere nostalgia della connessione, dei social network e del resto. In un mondo non più connesso, i vari angoli della Terra vanno avanti ognuno per conto suo, e così i tre protagonisti affrontano ognuno un presente privato e delirante: Evan, regista teatrale al lavoro su un'assurda piéce a Edo in Giappone, vagabonda alla vigilia del debutto in preda al senso di colpa per qualcosa commesso in passato e alla ricerca di una dose di una droga chiamata mAK; Zoja, poetessa anarchica, probabilmente esule politica, a New York è attesa a un reading da un pubblico febbricitante e decadente; infine Kras, ex ministro della guerra, affronta un'allucinante riunione di famiglia che neanche la cena dei francesi in “Apocalypse Now”, i cui sviluppi lo porteranno a scoprire la propria fragile posizione politica e il destino del figlio Mitja.
Il libro procede alternando i capitoli dedicati ai singoli protagonisti, quasi tutti narrati al presente; i primi due paesaggi (Edo e New York) sono facilmente riconducibili a un immaginario che mescola cyberpunk, film horror degli anni 80, la fantascienza apocalittica e l'opera di Jodorowsky (specialmente alcuni episodi della vicenda di Evan), mentre il terzo pare calato in un tetro mondo montanaro che non sarebbe dispiaciuto al Luchino Visconti più livido.
Il flusso di coscienza inonda il lettore disorientandolo, permettendogli di carpire solo poche informazioni: letteralmente sommersi da immagini, pensieri e considerazioni filosofiche, non si ha mai, fino alla fine, la sensazione di aver compreso davvero l'evolversi della storia, talvolta la stessa identità di alcuni caratteri. La prepotenza dello stile impone la massima attenzione, Frelih è abile e col crudele entusiasmo e sarcasmo dei giovani scrittori sperimenta un linguaggio che mette alla prova i lettori, decide cosa rendere comprensibile della storia e cosa mantenere nel regno delle ipotesi e dell'interpretazione, lascia filtrare solo ciò che ritiene necessario. Tutto il resto è vibrazione, un rumore bianco che pervade l'intero libro, capitolo per capitolo. La lettura richiede totale concentrazione, tempo e si arriva alla fine stremati e piuttosto confusi (quando non si decide semplicemente di abbandonare la lettura). Nonostante abbia letto romanzi contorti come quelli di Philip Dick e la prosa libera de “I sotterranei”di Kerouac, sono stata tentata più volte di alzare bandiera bianca.
Nel marasma di scene bizzarre, vischiose riflessioni, descrizioni di situazioni surreali, non mancano alcuni dettagli divertenti, come la sponsor di Evan, Koito (!), che lo trascina senza pietà ai numerosi impegni che rimarrebbero altrimenti disattesi o le stesse prove della rappresentazione, che sembrano dileggiare certa vuota cultura intellettuale. Mentre alcuni di questi episodi sono riusciti (il pranzo di Evan a casa di una famiglia giapponese durante il quale colleziona un figuraccia dietro l'altra, è uno dei migliori), altri sembrano uno sfoggio di arguzia e fanno cortocircuito con la stessa ironia diretta agli intellettuali.
L'ultimo capitolo, citato in molte recensioni perché totalmente diverso dal resto del libro, è una sorta di coupe de teatre, sorprende sì, per la prosa decisamente più comprensibile, ma non chiarisce nulla. L'abilità di Frelih è ancora una volta evidente nel crescendo delirante che porta al finale (l'apparizione di Zoja, la sua trasformazione sono passaggi molto ben scritti) e che continua a nascondere, piuttosto che rivelare.
Qualche giorno dopo aver concluso la lettura emergono immagini, scene, quello che realmente ho capito e conservato nella memoria, ora che ho preso un minimo di distanza e la vibrazione di cui parlavo sopra è sopita. Ho comunque la sensazione di aver colto dei brandelli, di avere pochi pezzi di un quadro forse troppo complesso.
“A/metà” è un'opera prima e mostra la sua natura acerba, arrogante e talentuosa, i virtuosismi letterari barocchi che possono rendere un libro importante o (se prendono la mano) insopportabile. Mentre terminavo questo libro mi è venuto in mente il Jep Gambardella de “La grande bellezza”: lui voleva non solo partecipare alle feste ma “avere il potere di farle fallire”, così ho il sospetto che Frelih abbia desiderato non solo di scrivere libri, ma di avere il potere di farli diventare indigesti.
L'esagerazione, il disequilibrio creativo sono certamente parte della strada di un artista, soprattutto così giovane e intelligente, tuttavia anche per l'autore sperimentale arriva il momento in cui decidere se scrivere (oltre che per sé stesso) per un pubblico abbastanza vasto, per la critica intellettuale o per entrambi. Per questo sono curiosa di leggere qualcosa di più recente e vedere come lo stile di Frelih si è evoluto, quale forma ha preso il suo talento, se gioca ancora con la lingua, se si è rivolto a schemi letterari più consueti o prosegue in una ricerca estrema.
Ringrazio ancora Safarà per il libro e vorrei sottolineare la qualità della grafica e la bellezza della copertina, che richiama l'opera di artisti come Rotchenko, sicuramente un elemento di attrazione verso il volume.
Ms Rosewater
Photo credit: @lisapavesi
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