Buon pomeriggio! ^^
Oggi una nuova recensione per voi! La nostra Ms Rosewater ci parla di Baci all'inferno, di Ariana Harwicz, romanzo uscito per Ponte alle Grazie, la cui prosa è paragonata a quella di Virginia Woolf. Scopritelo nella recensione qui sotto e lasciateci un vostro pensiero nei commenti, se vi va ;) A presto!
Baci all'inferno
di Ariana Harwicz
Prezzo: 10,99 € (eBook) 16,90 € (cop. flessibile)
Pagine: 208
Genere: narrativa, racconti
Editore: Ponte alle Grazie
Data di pubblicazione: 28 ottobre 2022
L'oggetto che vi trovate tra le mani non è un semplice romanzo: è un'esperienza di lettura tra le più perturbanti che possiate fare oggi. Ma andiamo per ordine: "Baci all'inferno" comprende due romanzi brevi, "La debole di mente" e "Precoce", legati tra loro dal tema della relazione fra madre e figli. Nel primo, l'autrice ci conduce nei meandri di un rapporto quasi animale tra una madre e una figlia. Nel flusso di coscienza che riprende una forte tradizione europea femminile (da Virginia Woolf a Nathalie Sarraute) si innesta però con violenza una vena grottesca che richiama tanta grande letteratura latino-americana. Narrato in brevi scene, "La debole di mente" è costellato di emozioni estreme e corpi violati, da un'infanzia fragile a un finale tanto straordinario quanto imprevedibile. Al centro di "Precoce" è stavolta il rapporto tra madre e figlio: entrambi diseredati, nuovi poveri europei, la loro vita in comune è un rovesciamento totale dei ruoli familiari classici, che mette in questione il significato stesso e i presunti doveri della maternità. In uno stile disincarnato, spoglio di ogni ornamento e convulso come la vita stessa, "Precoce" ci racconta di come a volte l'inferno in cui viviamo sia causato dall'eccesso di amore.
Gli strilli pubblicitari accostano la prosa di Ariana Harwicz a quella di Virginia Woolf e a Clarice Lispector, autrici che (per ora) non ho purtroppo letto (eh sì, neanche la Woolf). È comunque singolare come si tenda a paragonare una scrittrice donna a un'altra donna, quasi che sussistesse una sorta d'innatismo biologico ottocentesco che contraddistingue la letteratura femminile da quella maschile. Forse proprio perché non conosco le opere di Woolf e Lispector, quando ho iniziato a leggere la prima delle due novelle che compongono questo libro, “La debole di mente”, ho pensato a “L'urlo e il furore” di Faulkner, in cui il primo capitolo, scritto dal punto di vista di un disabile mentale, è una composizione rutilante e centrifuga di immagini, frammenti di cose realmente accadute, viste o immaginate, impressioni, che sfuggono a una logica narrativa lineare e si chiariscono, fino a un certo punto, nei capitoli successivi, quando gli stessi eventi saranno raccontati da altri personaggi.
Con le dovute differenze (la lingua di Faulkner era ricercatissima e volta a una rappresentazione fedele delle menti dei personaggi e della loro condizione sociale, mentre Ariana Harwicz non persegue uno stile realistico), così accade anche qui, il primo capitolo - riferito probabilmente all'infanzia della protagonista - è una specie di puzzle con i pezzi che non s'incastrano anche se li prendi a martellate, mentre dal secondo in poi, in cui ci troviamo nell'età adulta, nonostante la narrazione resti affidata a un flusso di coscienza fatto di immagini e sensazioni fisiche, odori, sapori, l'azione è più comprensibile.
Protagonista di entrambe le storie è la MADRE, gigantesco idolo in mezzo alle macerie del mondo, il concetto stesso di maternità messo alla prova con figli di sesso opposto. Il loro è un rapporto di amore e rifiuto, legame viscerale e ingombrante, perfino imbarazzante; la madre opprime, soprattutto la figlia, con la sua conoscenza disincantata della vita che si rivela infallibile, la madre sempre presente anche quando è lontana, chiede complicità per punire un amante che la rifiuta, e la offre, chiede lealtà assoluta e la restituisce. Continuamente in movimento, madre e figli* sono una cosa sola, una materia che si allunga e si comprime, come le loro parole che si sovrappongono in dialoghi privi di una reale separazione, una gravità che attira e ingloba tutto, luogo inespugnabile da chiunque, perfino dagli uomini desiderati, fino alla paranoia, e che rappresentano la normalità, quella convenzione e rispettabilità che restano fuori portata. Ci si può allontanare da lei ma poi le si torna sempre.
Se ne “La debole di mente” la voce narrante è quella della figlia, su cui ricade un'eredità di abbandono che sembra rinnovarsi alla nascita di ogni femmina e che alla quale cerca di sfuggire, in “Precoce” è la madre stessa a prendere la parola e raccontare l'ossessione, i pensieri, la relazione con il figlio maschio e con l'amante che si sovrappongono, coincidono, si scontrano e travolgono tutto.
Le protagoniste di Harwicz scendono nell'oscurità di sentimenti considerati inevitabilmente positivi e monodimensionali, rinunciano alla morale comune e affrontano le conseguenze estreme, indesiderabili. Sono donne oppresse dal desiderio, dalla povertà, dalla frustrazione e dall'impotenza, respinte da uomini perbene che hanno qualcosa da perdere, attratti dalla bellezza e dalla passione, ma pronti a tirarsi indietro quando devono scegliere tra certezza e rischio.
La prosa è cruda e incessante, da cui farsi trascinare come da un fiume in piena, a volte senza neanche capire tutti i riferimenti e gli eventi, riemergendo e affondando ancora fino alla conclusione inevitabile, oltrepassando i limiti della moralità e della buona educazione per infrangere i tabù e dare voce a ciò che non si vorrebbe nominare.
Ringrazio Ponte alle Grazie per avermi inviato il libro; mi permetto di suggerire di rivedere la copertina, personalmente avrei preferito qualcosa di meno allusivo e ammiccante, che rischia di dare un'impressione del libro poco aderente al reale tema e contenuto.
Ms Rosewater
Photo credit: @lisapavesi
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