Buon pomeriggio, lettori! ^^
Oggi torna la rubrica settimanale Coffee&Ciak dedicata a film e serie tv. In questo nuovo appuntamento, Ms Rosewater ci regala la sua opinione di Nomadland, adattamento cinematografico di Nomadland - Un racconto d'inchiesta, della giornalista Jessica Bruder. Il film ha vinto il Leone d'oro alla 77a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, il Golden Globe come miglior film drammatico e miglior regia, e tre Premi Oscar come miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista. Fateci sapere se lo avete visto e cosa ne pensate. A presto! ;)
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Nato da un libro che indaga la vita dei nuovi nomadi americani, perlopiù persone non più giovani vittime della crisi economica del 2007, senza casa e un lavoro fisso, “Nomadland” è un film sulla perdita. Perdita, innanzitutto, delle persone care, parenti e amici, del lavoro e della sicurezza economica e infine della stabilità geografica. Fern, interpretata da Frances McDormand, è una donna di sessant'anni senza figli, suo marito è morto di malattia, ha perso il lavoro e nel minuscolo centro di Empire non può più vivere. Dunque, acquista un vecchio furgone, lo attrezza per poterci vivere e si sposta per gli Stati Uniti adattandosi ad occupazioni stagionali a termine: l'operaia nel magazzino di Amazon durante il periodo natalizio, nella raccolta agricola, host di un campeggio. Riesce a sopravvivere e viene in contatto con la comunità dei nomadi, la loro solidarietà e le loro storie, diverse e simili alla sua, ricostruirà un nuovo mondo per sé. Sradicati dalle loro case a causa della crisi o della perdita di chi amavano, scartati dalla società capitalista e senza alcuna protezione, Fern e i suoi compagni rinunciano - chi volontariamente, chi costretto dalla mancanza di una casa - alla stanzialità e tessono una rete solidale che continua ad esistere anche quando si separano, aiutandosi e rivendicando la libertà che gli viene dalla povertà. Hanno poco ma si abituano ad avere sempre meno, rinunciano a ciò che si portano dietro dalla vita precedente e che non è indispensabile, come gli animali che si liberano di un guscio diventato troppo piccolo, in un percorso ascetico del terzo millennio in cui la solidarietà e i rapporti umani sono senza paura, senza convenzione e la Natura è il grande conforto e la cura alla sofferenza che nonostante tutto è sempre presente.
Chloé Zhao ha scelto di realizzare questa trama senza cedere alla tentazione di suscitare emozioni facili, facendo del “telling by showing” la potenza del film, mantenendosi sempre a una giusta distanza, mentre l'interpretazione di Frances McDormand è estremamente misurata (anche se in certi momenti io vedo ancora in lei la Marge di “Fargo”); è proprio questa economia a rendere tanto intenso e profondo ciò che suscita il racconto, i pensieri, la commozione verso le persone che “sono dovute andare”.
I paesaggi dei parchi naturali americani che Fern attraversa sembrano luoghi incantati di pace sovrannaturale e lei vi si aggira come in un sogno, immagini opposte in modo quasi brutale a quelle dei luoghi dove lavora, ad esempio i magazzini di Amazon: la camera allarga e le persone diventano tutte uguali, confondibili tra loro, mentre quando sono nei loro furgoni vediamo i volti, le riconosciamo. La bellezza opposta al profitto e al consumismo, la ricchezza sconfinata e il superfluo alla sussistenza e alla precarietà, non sembrano nemmeno appartenere allo stesso paese.
I nomadi imparano a fare a meno, escono dal gioco d'illusione del sogno americano e possono farcela, possono vivere anche senza, e a quel punto non sentono più il bisogno di tornare indietro.
La critica al sistema è intessuta nella storia pur rimanendo quasi sempre implicita nel percorso della protagonista, che anche di fronte all'opportunità di ricostruire una situazione “normale” sceglierà di continuare il proprio cammino da sola. In un'unica occasione Fern esprime a voce questa critica, quando a casa della sorella fa una battuta pulita e sincera che spiazza due ospiti, dirigenti di banca, impegnati in una discussione sul mercato degli immobili, da cui è partita la crisi devastante del 2007.
A distanza di settimane ci si ritrova a pensare a questo film, all'assenza totale della consolazione finale tipica delle pellicole hollywoodiane, di una speranza preconfezionata nel futuro che ci ispiri a tirare avanti; rimane un senso di smarrimento, la perdita della certezza di una giustizia e di consolazione, ma anche di verità.
Ms Rosewater
La particolarità della McDormand è, in effetti, quella di dare un senso di continuità tra i personaggi che interpreta in film diversi. Io qui ci ho visto un possibile sviluppo di Mildred, il character de "Tre manifesti a Ebbing, Missouri". Bella recensione.
RispondiEliminaPurtroppo quel film mi manca, ma sono d'accordo con te. L'altro giorno ho guardato di nuovo "Nomadland" e mi è tornata in mente la sua interpretazione in "This must be the place" di Sorrentino, era tutto un altro personaggio!
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