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venerdì 8 settembre 2023

Recensione: "Epepe" di Ferenc Karinthy (a cura di Ms Rosewater)

Buongiorno, lettor*! ^^
Dopo un paio di giorni di stacco dovuti a problemi di connessione, rieccoci qui sul blog con nuove recensioni per voi. La nostra Ms Rosewater ci parla oggi di Epepe, un romanzo davvero particolare che parte lentamente ma che si rivela pian piano una sorpresa. Scoprite tutto nella sua recensione e fateci sapere nei commenti se avete letto anche voi il libro o vi piacerebbe farlo ;)

Epepe
di Ferenc Karinthy

Prezzo: 9,99 € (eBook) 13,00 € (cop. flessibile)
Pagine: 217
Genere: narrativa contemporanea
Editore: Adelphi
Data di pubblicazione: 5 ottobre 2017
Acquista su: IBS, laFeltrinelli (link aff.)

Ci sono libri che hanno la prodigiosa, temibile capacità di dare, semplicemente, corpo agli incubi. "Epepe" è uno di questi. Inutile, dopo averlo letto, tentare di scacciarlo dalla mente: vi resterà annidato, che lo vogliate o no. Immaginate di finire, per un beffardo disguido, in una labirintica città di cui ignorate nome e posizione geografica, dove si agita giorno e notte una folla oceanica, anonima e minacciosa. Immaginate di ritrovarvi senza documenti, senza denaro e punti di riferimento. Immaginate che gli abitanti di questa sterminata metropoli parlino una lingua impenetrabile, con un alfabeto vagamente simile alle rune gotiche e ai caratteri cuneiformi dei Sumeri – e immaginate che nessuno comprenda né la vostra né le lingue più diffuse. Se anche riuscite a immaginare tutto questo, non avrete che una pallida idea dell'angoscia e della rabbiosa frustrazione di Budai, il protagonista di "Epepe". Perché Budai, eminente linguista specializzato in ricerche etimologiche, ha familiarità con decine di idiomi diversi, doti logiche affinate da anni di lavoro scientifico e una caparbietà senza uguali. Eppure, il solo essere umano disposto a confortarlo, benché non lo capisca, pare sia la bionda ragazza che manovra l'ascensore di un hotel: una ragazza che si chiama Epepe, ma forse anche – chi può dirlo? – Bebe o Tetete.

La prima cosa che ho pensato di Epepe è che, pur non essendo un libro sulla sordità, dipinge perfettamente la situazione di una persona sorda che non sia riuscita a trovare un linguaggio comune con il mondo che la circonda, l'incolpevole incapacità di creare connessioni logiche, d'interpretare comportamenti e il disperato lavoro di costruzione di un senso generale per le azioni degli altri. Ma è anche il racconto della progressiva demolizione delle certezze personali di qualcuno che resti isolato dalla società nella quale vive e ha acquisito una posizione, un ruolo e, in ultima analisi, di come la nostra personalità sia costruita attraverso il contatto con gli altri e di quanto il valore della conoscenza sia sempre relativo all'ambiente e alle persone che ci circondano.

Finito per errore in un paese sconosciuto, dalla lingua incomprensibile che pare non appartenere ad alcun ceppo noto, il linguista ungherese Budai si trova immediatamente in difficoltà: nessuno lo capisce, viene sballottato da una folla prepotente che invade ogni angolo di quella che sembra una sconfinata megalopoli e gli è impossibile avere l'attenzione di chiunque per più di un secondo. La sua profonda cultura non gli è di aiuto per orientarsi su questo nuovo pianeta dove non solo la comunicazione, ma anche le usanze, i cibi, la geografia sono come muri invalicabili alla sua comprensione.

Da qui seguiamo i tentativi di Budai per entrare in contatto con il nuovo ambiente e riuscire a tornare a casa: esplora, traduce, prova a interpretare i segnali, i movimenti, raccoglie qualsiasi tipo d'informazione. Impossibilitato a entrare in contatto con gli sfuggenti e maneschi abitanti del luogo, inizia una lenta discesa nella solitudine che lo porta quasi alla follia. La conoscenza non è un'intoccabile monumento e il prestigio che ne deriva dipende dal luogo in cui ci si trova, dall'utilizzo che ci è possibile farne, dal bisogno o dall'interesse che gli altri possono averne. Budai si trova a possedere una moneta che non ha alcun valore, a cui è però legato non solo il suo ruolo sociale ma anche la sua personalità: è così che entrambe si dissolvono, da uomo d'intelletto diventa uomo di fatica ed emerge il suo lato oscuro, tenuto a bada fino a quel momento dalla costruzione della sua vita. Scoprirà di essere capace di azioni ripugnanti, che non avrebbe mai pensato di poter compiere.

Il romanzo si sviluppa come un sogno, ripetitivo e ossessionante nelle esplorazioni del protagonista fuori dall'albergo dove alloggia che lo portano a fare incontri inquietanti in case anguste e soffocanti (la visita al bordello) oppure in grandi spazi altrettanto spaventosi (la sequenza del mattatoio, una delle più forti di tutto il libro), sempre senza alcuna possibilità di decifrare quanto gli viene detto e dare un valore definitivo alle azioni dei locali. Tutto è perennemente incerto, ostile o indifferente come la città di cui Budai non riesce a vedere il confine neanche quando sale su un edificio altissimo. La città è la sua vera antagonista: in continuo movimento brulica, ribolle, lo confonde e, più lui si muove alla ricerca di una via d'uscita, più affonda nelle sue sabbie mobili. Crudele e terribile, questa megalopoli sembra avere il pieno controllo sui suoi abitanti e su Budai, un uomo che senza una lingua per comunicare si svuota di sé e rimane alla mercé di questo enorme nemico del quale non conosce neppure il nome.

Com'è facile immaginare, Epepe è basato unicamente sul punto di vista del protagonista, elemento che contribuisce a generare una sensazione di claustrofobia e costrizione; per gli stessi motivi è privo di dialoghi, obbligando il lettore a seguire costantemente il flusso dei pensieri di Budai, pur mediato da un narratore, senza possibilità di distrarsi. In termini cinematografici potremmo definirla un'infinita ripresa soggettiva in piano sequenza. La lettura è perciò (almeno per me) piuttosto lenta, a volte sembra non proseguire proprio e ogni tanto si sente il bisogno di una tregua dall'atmosfera opprimente. Tuttavia, la lentezza e la fatica ripagano con la permanenza di elementi che stratificano e danno modo di riflettere sulla vicenda anche dopo molto tempo.

A giudicare dalla prefazione di Emmanuel Carrére si tratta di un libro che giova leggere più volte, ma sicuramente, per la sua struttura, richiede pazienza e non ci si deve vergognare se si decide di lasciarlo per un po' e poi riprenderlo. Vale la pena di affrontare l'impresa.
Ms Rosewater

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